Gita
a Tuscania e Lago di Vico
La
domenica di Pasqua si fanno migliaia di programmi su cosa fare, dove
andare, se andare o restare e noi avevamo deciso di fare le
tradizionali pulizie pasquali. Quando ci svegliamo il cielo è
grigio, la pioggia sottile sferza l'aria fredda in un clima
decisamente poco favorevole al buon umore.
Di stendere lavatrici non
se parla, tenere le finestre aperte neanche, sarebbe forse il caso di
rimanere a letto a dormicchiare, leggere e pigrare, ma la forza
primaverile della natura è troppo invitante e decidiamo di sfidare
il maltempo e uscire per una gita, programmata e rimandata da tempo.
Saliamo in macchina verso le dieci convinti di tornare a casa per
pranzo, i riscaldamenti accesi nell'abitacolo picchiettato dalla
pioggerellina d'aprile, le nuvole nere rincorrono i grigi cumuli
adagiandosi su una buriana che smuove il cielo in tutte le direzioni.
I germogli si fanno prepotentemente strada pensando forse di aver
sbagliato stagione, il verde chiarissimo si alterna al rosso carminio
e al rosa pallido dei peschi, strisce colorate trasformano placide
colline in vivacissimi quadri in movimento, tra onde erbose e morbide
rotondità sabine. In poco meno di un'ora arriviamo a Viterbo,
passiamo davanti alle Terme dei Papi e ci fermiamo a prendere due
fangonette, ripartiamo subito con una piccola sosta nelle pozze
gratuite davanti alla caserma, le cui vasche naturali fa pensare ad
una Pamukkale in miniatura.
Appena fuori dalla città ci immergiamo
in un paesaggio bucolico con alcune casette basse, aziende agricole e
fattorie dal sapore antico su un ritmo ondoso di terra e orti, ancora
qualche chilometro e ci troviamo immersi nella zona dei noccioleti
con i Cimini resi blu e blu solsasse da questa grigia giornata a fare
da cornice al verde chiarissimo degli alberi preferiti dagli
scoiattoli.
In men che non si dica siamo a Tuscania, troviamo subito
parcheggio davanti a Santa Maria Maggiore, una splendida chiesa del
VII secolo, ampliata nei secoli successivi con struttura medievale
nella pietra scura tipica della zona con bianchissimo rosone marmoreo
e un interno che emoziona per la sua semplice meraviglia. La cosa che
ci incuriosisce maggiormente è la costruzione dell'ingresso della
chiesa di fronte ad una torre, ad una distanza molto inusuale,
soprattutto visto e considerato che non vi sono altri edifici nelle
aree circostanti.
All'interno un volontario cui chiediamo
informazioni ci spiega che la chiesa venne edificata su un
pre-esistente mitreo che era stato costruito su un antico tempio
etrusco. Il fonte battesimale che si trova a circa metà della navata
destra indica che la chiesa in origine era con impianto ad unica
navata e non a tre navate e che l'ingresso doveva essere circa a metà
dell'attuale lunghezza della croce latina su cui è impostata la
pianta.
Non era infatti permesso l'ingresso nel luogo sacro a chi non
fosse stato battezzato e il fonte, della stessa epoca della torre,
era solitamente posizionato all'esterno. La nostra 'guida' ci
racconta anche che, dopo il terremoto del 1971 che ha semi-distrutto
l'edificio e ha irrimediabilmente rovinato gli affreschi, è stata
scoperta la parte sottostante il piano attuale, dove c'era un tempio
e un fonte a 12 lati con acqua calda termale proveniente da una falda
che tuttora passa sotto il pavimento.
Questo fonte è probabilmente
da considerare come un fonte per la fertilità, in quanto al centro
era posizionato un fallo marmoreo, una semicolonna in marmo, che è
stato spostato durante i secoli accanto all'altare immediatamente
sotto ad un affresco che raffigura una testa di drago o una fiera,
probabilmente posta a simbolizzare le fiamme della dannazione eterna,
che inghiotte gli esseri umani. Ironia della sorte o dialogo mai
interrotto tra sacro e profano non è dato sapere.
L'interno di Santa
Maria Maggiore di Tuscania è ricchissimo di riferimenti longobardi,
con capitelli di evidente origine nordica e i simboli celtici che si
ritrovano anche nelle chiese abruzzesi ed in particolare in Santa
Maria in Pulcraneta a Rosciolo dei Marsi e nella Chiesa di San Pietro
immediatamente sopra l'area archeologica di Alba Fucens, ma anche in
Toscana ed in particolare in Val d'Orcia.
Il pulpito affrescato è
emozionante nella sua semplicità arrivata sino a noi durante i
millenni.
Nella navata sinistra si possono ammirare dei frammenti
considerevoli di affreschi che presentano dei colori davvero
impressionanti, in abbinamenti che sembrano ripresi in pieno dalla
cultura etrusca e che ricordano fortemente quelli della tradizione
romana, in abbinamenti che uniscono il blu cobalto al rosso
pompeiano.
Di stendere lavatrici non
se parla, tenere le finestre aperte neanche, sarebbe forse il caso di
rimanere a letto a dormicchiare, leggere e pigrare, ma la forza
primaverile della natura è troppo invitante e decidiamo di sfidare
il maltempo e uscire per una gita, programmata e rimandata da tempo.
Saliamo in macchina verso le dieci convinti di tornare a casa per
pranzo, i riscaldamenti accesi nell'abitacolo picchiettato dalla
pioggerellina d'aprile, le nuvole nere rincorrono i grigi cumuli
adagiandosi su una buriana che smuove il cielo in tutte le direzioni.
I germogli si fanno prepotentemente strada pensando forse di aver
sbagliato stagione, il verde chiarissimo si alterna al rosso carminio
e al rosa pallido dei peschi, strisce colorate trasformano placide
colline in vivacissimi quadri in movimento, tra onde erbose e morbide
rotondità sabine. In poco meno di un'ora arriviamo a Viterbo,
passiamo davanti alle Terme dei Papi e ci fermiamo a prendere due
fangonette, ripartiamo subito con una piccola sosta nelle pozze
gratuite davanti alla caserma, le cui vasche naturali fa pensare ad
una Pamukkale in miniatura.
Appena fuori dalla città ci immergiamo
in un paesaggio bucolico con alcune casette basse, aziende agricole e
fattorie dal sapore antico su un ritmo ondoso di terra e orti, ancora
qualche chilometro e ci troviamo immersi nella zona dei noccioleti
con i Cimini resi blu e blu solsasse da questa grigia giornata a fare
da cornice al verde chiarissimo degli alberi preferiti dagli
scoiattoli.
In men che non si dica siamo a Tuscania, troviamo subito
parcheggio davanti a Santa Maria Maggiore, una splendida chiesa del
VII secolo, ampliata nei secoli successivi con struttura medievale
nella pietra scura tipica della zona con bianchissimo rosone marmoreo
e un interno che emoziona per la sua semplice meraviglia. La cosa che
ci incuriosisce maggiormente è la costruzione dell'ingresso della
chiesa di fronte ad una torre, ad una distanza molto inusuale,
soprattutto visto e considerato che non vi sono altri edifici nelle
aree circostanti.
All'interno un volontario cui chiediamo
informazioni ci spiega che la chiesa venne edificata su un
pre-esistente mitreo che era stato costruito su un antico tempio
etrusco. Il fonte battesimale che si trova a circa metà della navata
destra indica che la chiesa in origine era con impianto ad unica
navata e non a tre navate e che l'ingresso doveva essere circa a metà
dell'attuale lunghezza della croce latina su cui è impostata la
pianta.
Non era infatti permesso l'ingresso nel luogo sacro a chi non
fosse stato battezzato e il fonte, della stessa epoca della torre,
era solitamente posizionato all'esterno. La nostra 'guida' ci
racconta anche che, dopo il terremoto del 1971 che ha semi-distrutto
l'edificio e ha irrimediabilmente rovinato gli affreschi, è stata
scoperta la parte sottostante il piano attuale, dove c'era un tempio
e un fonte a 12 lati con acqua calda termale proveniente da una falda
che tuttora passa sotto il pavimento.
Questo fonte è probabilmente
da considerare come un fonte per la fertilità, in quanto al centro
era posizionato un fallo marmoreo, una semicolonna in marmo, che è
stato spostato durante i secoli accanto all'altare immediatamente
sotto ad un affresco che raffigura una testa di drago o una fiera,
probabilmente posta a simbolizzare le fiamme della dannazione eterna,
che inghiotte gli esseri umani. Ironia della sorte o dialogo mai
interrotto tra sacro e profano non è dato sapere.
L'interno di Santa
Maria Maggiore di Tuscania è ricchissimo di riferimenti longobardi,
con capitelli di evidente origine nordica e i simboli celtici che si
ritrovano anche nelle chiese abruzzesi ed in particolare in Santa
Maria in Pulcraneta a Rosciolo dei Marsi e nella Chiesa di San Pietro
immediatamente sopra l'area archeologica di Alba Fucens, ma anche in
Toscana ed in particolare in Val d'Orcia.
Il pulpito affrescato è
emozionante nella sua semplicità arrivata sino a noi durante i
millenni.
Nella navata sinistra si possono ammirare dei frammenti
considerevoli di affreschi che presentano dei colori davvero
impressionanti, in abbinamenti che sembrano ripresi in pieno dalla
cultura etrusca e che ricordano fortemente quelli della tradizione
romana, in abbinamenti che uniscono il blu cobalto al rosso
pompeiano.
Nella
chiesa incontriamo dei turisti padovani che si mettono a discutere
della Cappella degli Scrovegni e iniziano una disquisizione su Giotto
e la scuola giottesca mentre la guida si slancia in spiegazioni sui
significati misterici del luogo sacro dove si evidenziano i solstizi
d'inverno e d'estate in meravigliosi giochi di luce naturale
nell'incontro con le architetture costruite dall'uomo.
Usciamo
intirizziti dal freddo e divertiti, ci viene forse voglia di vedere
la Cappella degli Scrovegni, un altro giorno, un'altra volta, chissà.
In
macchina ci dirigiamo verso la vicinissima Chiesa di San Pietro, sul
breve tratto di strada incontriamo un gruppo intirizzito di turisti
che cerca come può di difendersi da freddo, pioggia e vento con il
risultato un po' comico di una mandria di meduse colorate che
camminano su gambe umane.
Paghiamo il parcheggio nel chioschetto
davanti alla chiesa, dove un ragazzo ha ripreso l'antica arte delle
ceramiche etrusche e crea ninnoli a mano.
Paghiamo il parcheggio nel chioschetto
davanti alla chiesa, dove un ragazzo ha ripreso l'antica arte delle
ceramiche etrusche e crea ninnoli a mano.
Dall'esterno
Claudio si accorge che c'è “la mano dei Cosmati”, evidente ad un
primo sguardo al bianco rosone intarsiato da colorate tessere musive.
Appena entriamo ci accoglie una chiesa davvero emozionante, semplice,
a tre navate, a croce latina e con un pavimento creato, come leggiamo
nella scheda informativa, da maestranze lombarde dei Cosmati.
Il
contrasto tra la semplicità della chiesa e la ricchezza del mosaico
ne rende ancor più forte l'impatto visivo, con un risultato
sorprendente. Ad osservare in un'immobile serenità questa meraviglia
delle statue che sembrano etrusche adagiate su quelle che hanno tutto
l'aspetto di essere delle tombe romane.
Non indaghiamo perché entriamo nella cripta sottostante l'altare maggiore, forse il primo luogo di culto su cui si è ampliata la chiesa, anche su questo non chiediamo informazioni perché l'emozione e l'estasi mistica è talmente potente da farci scordare per un momento la curiosità artistica.
Ci abbracciamo in quel luogo così simile nelle dimensioni
alla Cripta di Anagni e così diverso nella sua realizzazione,
luminoso e pieno di colonne, senza una struttura tanto netta. Usciamo
da lì con la mente e il cuore appagati da una sensazione di pace e
infreddoliti come pulcini.
Appena in macchina accendiamo i
riscaldamenti e ci dirigiamo verso casa. È Pasqua, è mezzogiorno
passato e la voglia di mangiare qualcosa si fa sentire in modo
prepotente. Pensiamo di provare a Sutri, ma a Valentina viene in
mente che non ha mai visto il Lago di Vico e Claudio gira lo sterzo
nonostante le lamentele del TomTom che ci indicava la strada per
Sutri.
Ci viene voglia di fermarci in un locale con affaccio sul lago, che, per quello che riusciamo a vedere, è davvero meraviglioso.
Abbiamo fortuna, ci fermiamo al Rivafiorita, c'è posto
e la cucina non è niente male. Non è molto economico e nella
veranda dove siamo noi non ci sono i riscaldamenti, evidentemente è
un posto pensato per i climi caldi. Mangiamo ravioli ripieni di
ricotta, noci e nocciole dei Cimini con una crema di tartufi,
salsicce alla griglia con patate al forno a legna e ratatuille cotta
nel forno a legna, carciofi fritti buoni ma che non hanno niente a
che vedere con quelli di Nonna Augusta, una pizzottella che ci viene
offerta e un paio di caraffe di tè caldo che scatenano la curiosità
dei ristoratori.
Usciamo e con noi esce anche una coppia di impavidi ciclisti. Torniamo a casa con la voglia di rivedere il Lago di Vico magari in un giorno d'estate o almeno con clima primaverile più che col clima irlandese che ha caratterizzato questa Pasqua 2015.
Il
contrasto tra la semplicità della chiesa e la ricchezza del mosaico
ne rende ancor più forte l'impatto visivo, con un risultato
sorprendente. Ad osservare in un'immobile serenità questa meraviglia
delle statue che sembrano etrusche adagiate su quelle che hanno tutto
l'aspetto di essere delle tombe romane. Non indaghiamo perché entriamo nella cripta sottostante l'altare maggiore, forse il primo luogo di culto su cui si è ampliata la chiesa, anche su questo non chiediamo informazioni perché l'emozione e l'estasi mistica è talmente potente da farci scordare per un momento la curiosità artistica.
Ci abbracciamo in quel luogo così simile nelle dimensioni
alla Cripta di Anagni e così diverso nella sua realizzazione,
luminoso e pieno di colonne, senza una struttura tanto netta. Usciamo
da lì con la mente e il cuore appagati da una sensazione di pace e
infreddoliti come pulcini.
Appena in macchina accendiamo i
riscaldamenti e ci dirigiamo verso casa. È Pasqua, è mezzogiorno
passato e la voglia di mangiare qualcosa si fa sentire in modo
prepotente. Pensiamo di provare a Sutri, ma a Valentina viene in
mente che non ha mai visto il Lago di Vico e Claudio gira lo sterzo
nonostante le lamentele del TomTom che ci indicava la strada per
Sutri. Ci viene voglia di fermarci in un locale con affaccio sul lago, che, per quello che riusciamo a vedere, è davvero meraviglioso.
Abbiamo fortuna, ci fermiamo al Rivafiorita, c'è posto
e la cucina non è niente male. Non è molto economico e nella
veranda dove siamo noi non ci sono i riscaldamenti, evidentemente è
un posto pensato per i climi caldi. Mangiamo ravioli ripieni di
ricotta, noci e nocciole dei Cimini con una crema di tartufi,
salsicce alla griglia con patate al forno a legna e ratatuille cotta
nel forno a legna, carciofi fritti buoni ma che non hanno niente a
che vedere con quelli di Nonna Augusta, una pizzottella che ci viene
offerta e un paio di caraffe di tè caldo che scatenano la curiosità
dei ristoratori. Usciamo e con noi esce anche una coppia di impavidi ciclisti. Torniamo a casa con la voglia di rivedere il Lago di Vico magari in un giorno d'estate o almeno con clima primaverile più che col clima irlandese che ha caratterizzato questa Pasqua 2015.

Nessun commento:
Posta un commento