Mentana * Tivoli * Villa Adriana * Sacrofano * Mentana
Ci svegliamo per la poppata mattutina di Giulia e decidiamo
di andare a seguire la lezione di Daniele su Villa Adriana.
Ci prepariamo
velocemente e chiediamo lumi su orari e modalità di partecipazione, sistemiamo
uno Stokke per la posizione sulla schiena e carichiamo l’occorrente per una
giornata fuori sulla Ford Focus.
Ci dirigiamo senza indugio, e senza passare
per Mentana paese, verso il tempio di Ercole Vincitore a Tivoli per paura di
non arrivare in tempo all’appuntamento, che però era un’ora dopo quello che ci
era stato comunicato.
Poco male, ne approfittiamo per fare un giro nella
cittadella tiburtina. Scopriamo una parte antica, dietro le vecchie cartiere e
a ridosso della chiesetta di San Lorenzo, che non conoscevamo, oggettivamente
molto bella e caratteristica in cui l’antico si mescola con il medievale e il
molto relativamente moderno.
La strada è in salita ma arriviamo verso Villa d’Este cercando un posto dove fare una colazione senza infamia e senza lode.

Ripercorriamo
la strada, prevalentemente in discesa, non senza fermarci a prendere una
brioche con la granita cui Mamma Valentina non riesce a resistere.
Quando torniamo troviamo la chiesa duecentesca di San Lorenza aperta, diamo una rapida occhiata all’interno.
È davvero molto suggestiva, ad una navata con abside affrescato, sembra di poter sentire le spade di qualche crociato e il frusciare lieve di lunghe vesti femminili.
Incontriamo Mariagrazia e Massimiliano che ci illustrano la storia delle cartiere e di lì a poco anche il resto del gruppo.
Entriamo
dunque nell’area del tempio dove la nostra guida archeologica ci racconta nei
minimi particolari le funzioni del lucus, impropriamente detto santuario, sorto
presumibilmente intorno ad una fossa oracolare.
Il tempio, ci spiega, è uno tra
i più maestosi dell’antichità e doveva essere ben visibile da Roma e forse
anche dal mare.
Costruito su più piani, aveva un teatro e un’area sacra, grandi stanze, un mercato, un’area che oggi si definirebbe ‘finanziaria’ o ‘bancaria’ in cui venivano raccolte le gabelle, si potevano depositare beni ed eventualmente anche chiedere prestiti.
Prima di accedere all’area oracolare era necessario
però purificarsi lavandosi in apposite vasche.
Una parte considerevole della struttura archeologicamente rilevante è però stata occupata da edifici industriali nel 1920, i quali sono attualmente vincolati quali opere di archeologia industriale.
Dopo una lunga ed esaustiva spiegazione degli ambienti di epoca
latina ci salutiamo dandoci appuntamento all’acropoli, al Tempio della Sibilla.
Ci avviamo sulla Ford Focus verso il parcheggio a pagamento, acquistiamo qualcosa
da mangiare per Giulia e facciamo un giretto per Tivoli, gli altri ci
raggiungeranno dopo essersi inerpicati per sentieri tortuosi e un po’ lunghi.
Seguiamo a tratti la spiegazione per motivi pratici, dunque ci incamminiamo a
mangiare qualcosa in un’enoteca dove Massimiliano va di frequente, ci rifocilliamo
ma Massimiliano vuole pagare il pranzo e per quanto possiamo insistere non
vuole sentire ragioni.
Ci incamminiamo verso il parcheggio ma ci fermiamo prima per un caffè, indi ci dirigiamo verso Villa Adriana.
Le spiegazioni sono
alquanto complesse, le parole dell’archeologo ci fanno immaginare e vedere ciò di
cui avevamo soltanto intuito la bellezza.

Passeggiamo lì dove Adriano e la sua
coorte solevano camminare per mantenere la mente sana nel corpo sano, ci addentriamo
in quello che probabilmente era un luogo di ristoro estivo, per poi vedere
finalmente aperto il cosiddetto teatro marittimo che in realtà pare fosse una
siracusa, ovvero una sorta di villa circondata dall’acqua e dotata di ponti di
legno amovibili dove l’imperatore si ritirava quando voleva stare da solo.
Ammiriamo la sala dedicata ai filosofi greci e ci sovviene subito lo studiolo del Duca di Urbino, anche se cronologicamente non avrebbe potuto ispirarsi alla villa per esperienza diretta ma che forse potrebbe essersi ispirato, nella costruzione del suo luogo di riflessione, alle descrizioni che arrivavano dall’antichità della magione dell’imperatore Adriano.

Ci incamminiamo tra i ruderi molto ben
conservati e immaginiamo i marmi policromi riutilizzati in gran parte dai Cosmati
per i mosaici di rara bellezza che adornano chiese e ville di ricchi nobili di
epoche successive, ci sembra di vedere gli illustri ospiti di Adriano gozzovigliare,
le tantissime persone di servizio riposare nelle stanze a loro dedicate, adornate
con semplici, se comparate alle altre parti della villa, decorazioni musive in
bianco e nero.

L’anticamera della sala del trono incanta ancor oggi per
maestosità e bellezza, le ‘zucche’ disegnate da Adriano si esprimono nella
meraviglia di cupole a spicchi e nella bellezza delle linee curve visibili dall’esterno,
decisamente innovative per l’epoca.
La storia delle zucche è curiosa, in
effetti, e riguarda un architetto, Apollodoro di Damasco, molto tradizionalista
che riteneva che il futuro regnante disegnasse delle zucche e non rispettasse i
canoni dell’architettura, pertanto lo allontanava senza troppo garbo dai
cantieri traianei, tracotanza che gli fu fatale subito dopo che Adriano diventò
imperatore.
Attraversiamo luoghi utilizzati per funzioni pratiche, quali vasche
per l’allevamento, presumibilmente, di pesci per poi deliziarci nel canopo.
Gli
ulivi della villa, il cui olio verrà presto messo in commercio presumibilmente
per sostenere anche i continui restauri necessari, sembrano voler danzare e
raccontarci storie di secolari.
Ci salutiamo e arriviamo, dopo una lunga camminata di Giulia che sta imparando a muovere i suoi primi passi, verso il parcheggio.
Da lì andiamo a Sacrofano dove Papà Claudio incontra un musicista e poi torniamo verso Mentana attraversando la campagna romana.
Ci prepariamo
velocemente e chiediamo lumi su orari e modalità di partecipazione, sistemiamo
uno Stokke per la posizione sulla schiena e carichiamo l’occorrente per una
giornata fuori sulla Ford Focus.
Ci dirigiamo senza indugio, e senza passare
per Mentana paese, verso il tempio di Ercole Vincitore a Tivoli per paura di
non arrivare in tempo all’appuntamento, che però era un’ora dopo quello che ci
era stato comunicato.
Poco male, ne approfittiamo per fare un giro nella
cittadella tiburtina. Scopriamo una parte antica, dietro le vecchie cartiere e
a ridosso della chiesetta di San Lorenzo, che non conoscevamo, oggettivamente
molto bella e caratteristica in cui l’antico si mescola con il medievale e il
molto relativamente moderno. La strada è in salita ma arriviamo verso Villa d’Este cercando un posto dove fare una colazione senza infamia e senza lode.

Ripercorriamo
la strada, prevalentemente in discesa, non senza fermarci a prendere una
brioche con la granita cui Mamma Valentina non riesce a resistere. Quando torniamo troviamo la chiesa duecentesca di San Lorenza aperta, diamo una rapida occhiata all’interno.
È davvero molto suggestiva, ad una navata con abside affrescato, sembra di poter sentire le spade di qualche crociato e il frusciare lieve di lunghe vesti femminili.
Incontriamo Mariagrazia e Massimiliano che ci illustrano la storia delle cartiere e di lì a poco anche il resto del gruppo.
Entriamo
dunque nell’area del tempio dove la nostra guida archeologica ci racconta nei
minimi particolari le funzioni del lucus, impropriamente detto santuario, sorto
presumibilmente intorno ad una fossa oracolare.
Il tempio, ci spiega, è uno tra
i più maestosi dell’antichità e doveva essere ben visibile da Roma e forse
anche dal mare. Costruito su più piani, aveva un teatro e un’area sacra, grandi stanze, un mercato, un’area che oggi si definirebbe ‘finanziaria’ o ‘bancaria’ in cui venivano raccolte le gabelle, si potevano depositare beni ed eventualmente anche chiedere prestiti.
Prima di accedere all’area oracolare era necessario
però purificarsi lavandosi in apposite vasche. Una parte considerevole della struttura archeologicamente rilevante è però stata occupata da edifici industriali nel 1920, i quali sono attualmente vincolati quali opere di archeologia industriale.
Dopo una lunga ed esaustiva spiegazione degli ambienti di epoca
latina ci salutiamo dandoci appuntamento all’acropoli, al Tempio della Sibilla.
Ci avviamo sulla Ford Focus verso il parcheggio a pagamento, acquistiamo qualcosa
da mangiare per Giulia e facciamo un giretto per Tivoli, gli altri ci
raggiungeranno dopo essersi inerpicati per sentieri tortuosi e un po’ lunghi.
Seguiamo a tratti la spiegazione per motivi pratici, dunque ci incamminiamo a
mangiare qualcosa in un’enoteca dove Massimiliano va di frequente, ci rifocilliamo
ma Massimiliano vuole pagare il pranzo e per quanto possiamo insistere non
vuole sentire ragioni. Ci incamminiamo verso il parcheggio ma ci fermiamo prima per un caffè, indi ci dirigiamo verso Villa Adriana.
Le spiegazioni sono
alquanto complesse, le parole dell’archeologo ci fanno immaginare e vedere ciò di
cui avevamo soltanto intuito la bellezza. 
Passeggiamo lì dove Adriano e la sua
coorte solevano camminare per mantenere la mente sana nel corpo sano, ci addentriamo
in quello che probabilmente era un luogo di ristoro estivo, per poi vedere
finalmente aperto il cosiddetto teatro marittimo che in realtà pare fosse una
siracusa, ovvero una sorta di villa circondata dall’acqua e dotata di ponti di
legno amovibili dove l’imperatore si ritirava quando voleva stare da solo. Ammiriamo la sala dedicata ai filosofi greci e ci sovviene subito lo studiolo del Duca di Urbino, anche se cronologicamente non avrebbe potuto ispirarsi alla villa per esperienza diretta ma che forse potrebbe essersi ispirato, nella costruzione del suo luogo di riflessione, alle descrizioni che arrivavano dall’antichità della magione dell’imperatore Adriano.

Ci incamminiamo tra i ruderi molto ben
conservati e immaginiamo i marmi policromi riutilizzati in gran parte dai Cosmati
per i mosaici di rara bellezza che adornano chiese e ville di ricchi nobili di
epoche successive, ci sembra di vedere gli illustri ospiti di Adriano gozzovigliare,
le tantissime persone di servizio riposare nelle stanze a loro dedicate, adornate
con semplici, se comparate alle altre parti della villa, decorazioni musive in
bianco e nero. 
L’anticamera della sala del trono incanta ancor oggi per
maestosità e bellezza, le ‘zucche’ disegnate da Adriano si esprimono nella
meraviglia di cupole a spicchi e nella bellezza delle linee curve visibili dall’esterno,
decisamente innovative per l’epoca.
La storia delle zucche è curiosa, in
effetti, e riguarda un architetto, Apollodoro di Damasco, molto tradizionalista
che riteneva che il futuro regnante disegnasse delle zucche e non rispettasse i
canoni dell’architettura, pertanto lo allontanava senza troppo garbo dai
cantieri traianei, tracotanza che gli fu fatale subito dopo che Adriano diventò
imperatore.
Attraversiamo luoghi utilizzati per funzioni pratiche, quali vasche
per l’allevamento, presumibilmente, di pesci per poi deliziarci nel canopo.
Gli
ulivi della villa, il cui olio verrà presto messo in commercio presumibilmente
per sostenere anche i continui restauri necessari, sembrano voler danzare e
raccontarci storie di secolari. Ci salutiamo e arriviamo, dopo una lunga camminata di Giulia che sta imparando a muovere i suoi primi passi, verso il parcheggio.
Da lì andiamo a Sacrofano dove Papà Claudio incontra un musicista e poi torniamo verso Mentana attraversando la campagna romana.













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