21 gennaio 2017
Mentana * Civita
Castellana * Sant’Oreste * Bunker Soratte * Mentana
Ci svegliamo verso le otto con l’intenzione di andare a fare
una passeggiata a Roma. L’aria tiepida di una giornata d’inverno italiana, col
sole caldo che fa presagire la dolcezza della primavera, accarezza il freddo di
questi giorni festivi di intensissimo gelo polare. Le notizie dell’albergo
abruzzese travolto dalla slavina, dell’autobus pieno di ragazzi ungheresi e le
condizioni disastrose in cui vivono i terremotati del Centro Italia ci
incupiscono e ci fanno preoccupare non poco ma decidiamo comunque di fare una
passeggiata, non a Roma, nella nostra bella Sabina. La prima tappa è in verità
nella Tuscia, proprio al confine con la nostra regione culturale, a Civita
Castellana. Mamma Lucilla e Papà Pietro ci avevano parlato del duomo cosmatesco
con grande entusiasmo e da un po’ avevamo voglia di vederlo. Attraversando la
Sabina contornata del bianco di Soratte, Terminillo e della neve che è scesa
copiosamente anche a quote piuttosto basse, la riflessione sulla bellezza e
sulla incapacità politica è inevitabile, così come la solita domanda sulle
potenzialità inespresse della Regione Lazio che nell’adiacente e confinante
Toscana sono invece più che valorizzate. Arriviamo a Civita Castellana,
incastonata tra forre e calanchi, un vero gioiellino. Il duomo cosmatesco si
staglia nel cielo azzurro pieno con qualche lieve striatura biancastra e la
luna non ancora tramontata. La facciata è veramente splendida con il rosone
centrale e le decorazioni musive su lievissime strutture marmoree che danno la
sensazione di trovarsi di fronte ad una spettacolare forma di merletto dura
come il marmo, forte come la pietra e delicata come una tela di ragno. Entriamo
e il pavimento cosmatesco in stato non eccellente anche se buono di
conservazione suscita in noi una grandissima emozione. Linee, forme, colori si
intrecciano in eterni giochi di perfezione che riecheggiano tutte le culture
mediterranee. Claudio ha un fremito di piacere nel guardare l’organo che fu
suonato casualmente, una domenica, nientemeno che da Wolfgang Amadeus Mozart.
Due persone emergono da dietro l’altare con l’aria felice, immantinente
scendiamo le scale per vedere la cripta che ci fa pensare inevitabilmente a
quella di Anagni e dove Claudio fa una interessantissima rilevazione. “A cosa
ti fa pensare questo?” “Che i goti o i carolingi siano passati da queste parti”
“E la forma?” “Incredibile, sembra una ciammella a cancellu”. Proseguiamo il
nostro giro con la sensazione di aver fatto una scoperta sensazionale, anche se
molto probabilmente non è una scoperta e non è sensazionale, ma non bisogna mai
sottovalutare la percezione soggettiva degli eventi. Usciamo e ci incantiamo
nuovamente nell’osservazione estatica del portale. Ci inoltriamo tra vicoli,
vie e piazze per andare a vedere la fortezza Sangallo, ma c’è un museo della
ceramica e il castello è chiuso. Chiediamo perché, forse è privato? No, è del
Ministero pertanto è soltanto precluso l’accesso a cittadini e turisti. Una
nuvoletta di nervosismo aleggia sulla nostra testa ma viene spazzata via da un
cappuccino e una pastarella in un baretto pasticceria non male in cui
assistiamo ad un vero e proprio siparietto teatrale che forse sarebbe piaciuto
molto ad Eduardo De Filippo. Risaliamo sulla Ford Focus e ci dirigiamo verso
Sant’Oreste. Le dimensioni della familiare non sono esattamente l’ideale per
sfrecciare tra i vicoletti strettissimi del borgo antico ma Valentina è
irresistibilmente attratta dalle indicazioni verso il Bunker Soratte, per cui
ci dirigiamo da quella parte. La visuale è a dir poco meravigliosa. Parcheggiamo
la Focus e proseguiamo a piedi, lungo il Percorso della Memoria che si apre con
una scultura e sotto una scritta che evoca inequivocabilmente l’orrore del campo
di concentramento nazista più tristemente noto della storia occidentale, quello
di Auschwitz.
Camminiamo in una passeggiata quasi deserta, con un panorama
incredibilmente suggestivo e qualche mezzo militare lasciato qui e là. Scorgiamo
delle porte in ferro che ci fanno pensare al simbolo della NATO ma non molto di
più, non almeno finché non incontriamo l’architetto che le ha progettate e che
ci fa la cortesia di farci dare uno sguardo veloce in una delle gallerie, raccontandoci
approfonditamente l’incredibile storia di quel luogo che vale decisamente la
pena farsi raccontare a voce durante una visita guidata prenotabile online sul
sito ufficiale della struttura.
Il simbolo che ci aveva tratto in inganno in realtà potrebbe
evocare quello del Patto Atlantico ma è ispirata ad una croce bugnata degli
edifici militari ideati, progettati e costruiti dall’architetto rinascimentale
Francesco di Giorgio Martini.
Appena entriamo Valentina cambia il colore del viso e l’espressione
da allegra e curiosa si trasforma in cupo terrore. Una consapevolezza della
realtà tangibile di quanto la storia tutto sommato recente possa essere stata
difficile, buia, atroce accompagnata al terrore puro che tutto quell’orrore
potrebbe ripetersi se continueranno ad esservi delinquenti e non politici sugli
scranni più alti nella vita repubblicana italiana.
Un fremito la percorre e nonostante la temperatura nel
bunker, creato da una serie di tunnel, come ci spiega argutamente il nostro
cicerone, l’arch. Gregory Paolucci presidente dell’Associazione Bunker Soratte,
un freddo spaventevole sembra attanagliarle le membra per qualche istante. Poi la
curiosità dell’amabilissima conversazione le fa tornare il colore nelle guance
e sul volto. Claudio conferma di averle visto quel pallore la prima volta che
abbiamo visitato L’Aquila con le gru, anche se in quel caso non era dovuto al
terrore orrorifico della dittatura militare bensì alla rabbia per la tortura inflitta
da un governo scelleratamente criminale alla popolazione aquilana per avidità
di denari.
La spiegazione prosegue e tutta la storia europea sembra
passare davanti ai nostri occhi, tra scritte italiane, tedesche, munizioni e
apparecchi radiofonici.
Tutto sembra avere una prospettiva differente sotto la luce
di quelle lampade così smaccatamente fasciste, una storia che parte da lontano
e si ramifica ben oltre il 1945.
Il Ventennio, l’alleanza fascio-nazista, l’8 settembre ’43,
la guerra del dopo ’43, la guerra civile e partigiana, i tentativi di colpi di
Stato del dopoguerra fino ai plumbei anni ’70, gli avventurieri e i cercatori d’oro
d’ogni dove, un paesino i cui abitanti hanno appreso nei secoli l’arte di
mantenere i segreti oltre i cunicoli di cemento armato, tra gli anfratti
nascosti nel tufo.
Non è soltanto italiana la storia che si svolge in quei
tunnel, è l’Europa, l’America e in buona sostanza tutta la storia mondiale. Qualcosa
di unico, eccezionale è accaduto nelle viscere della Terra, nel ventre
solidissimo di quel monte che si staglia solitario nella campagna sabina, a
soli 44 chilometri da Roma, e che è oggi un’antenna indispensabile ai sismologi
di tutto il Pianeta. Fortezza inespugnabile di segreti e conoscenze, di storia
e storie che hanno dell’incredibile.
Il nostro cicerone col cappellino New York ci saluta, lo
ringraziamo caldamente, sulle gote di Valentina è tornato il sorriso e il
colore nel frattempo. Proseguiamo a piedi fino alla fine del percorso, davanti a
noi la meraviglia della natura, dietro lo splendore che talvolta nasconde l’orrido
brulichio della storia umana.
Risaliamo sulla nostra autovettura statunitense, attraversiamo
la Sabina e torniamo a Mentana.