30 settembre 2017
Mentana * Melfi *
Benevento * Mentana
Ci svegliamo prima delle cinque per provare ad andare in Basilicata,
regione che ancora non conosciamo e che vorremmo esplorare da tempo. Giulia fa
la poppata della mattina mentre Papà Claudio cerca di svegliarsi e, tra uno
sbadiglio e l’altro, carica sulla Ford Focus SW il Book 51 Peg Pérego e tutto
il necessario per una gita con eventuale sosta. Non sappiamo quanto tempo
impiegheremo per raggiungere Melfi e Rionero in Vulture, mete della nostra
gita, con le fermate intermedie per cambio pannolino e poppate. Alle 5.30 siamo
sulla Focus pronti per una nuova avventura. Giulia si addormenta quasi subito
mentre Mamma Valentina le accarezza i piedi e le manine, è ancora notte ma non
troppo buio, non c’è traffico in giro e una splendida alba ci accoglie dalle
parti di Pietravairano, paese della Campania dove è stato scoperto nel 2000 un
interessantissimo teatro-tempio forse di epoca romana repubblicana, noto
attualmente col nome di teatro-tempio del Monte San Nicola, caratteristico per
la struttura più simile a quella greca, con le gradinate appoggiate su un colle,
che a quella romana e per l’ipotetica, per ora, connessione spazio-temporale
con altri templi disseminati sul territorio.
Il sole si fa spazio tra le montagne del Parco del Matese con
la limpidezza di un fiume di luce che trova il suo naturale percorso tra le
rocciose aspre morbidezze sacre ai Sanniti, i suoi raggi dorati si mescolano ad
una lieve bruma che par quasi voler decorare gli splendidi vigneti del beneventano
adagiati tra montagne non troppo alte e puntellati di grandi rocce solitarie. I
filari della zona dell’Aglianico sono disposti in modo alquanto pittoresco,
quasi a ricreare quei simboli che ritroveremo poi nel vasellame preromano
custodito nel museo del castello di Melfi, dove giungiamo, dopo alcune soste
per poppata e cambio pannolini, in tarda mattinata, passando in mezzo ad un
impressionante parco per la produzione di energia eolica costruito in un
territorio di rara bellezza, la Valle dei Lupi, che molto ci fa pensare alla
Spagna e alla Scozia.
Melfi antica pare una colata di bianca lava che parte dal
severo castello svevo per arrivare alla cattedrale in un insieme armonioso e
gradevole di piccole case affastellate l’una accanto all’altra a creare un
intrico di vicoletti e corti di semplice poesia. I portoni delle case in pietra
bianca sono adornati da collane di rossi peperoncini e verdi ricci di castagne,
la cui produzione è tipica di queste zone e il vento, seppur alleggerito della
sua forza grazie all’irregolarità del reticolo stradale, pulisce l’aria
portando lontano l’inquinamento degli stabilimenti situati nella moderna zona
industriale. Parcheggiamo davanti al castello, ammiriamo la cittadella dall’alto
e ci incamminiamo su quello che un tempo era un ponte levatoio all’interno
della struttura dove sono state proclamate le Costituzioni Melfitane mentre l’averroista
scozzese Michele Scoto e il matematico pisano Leonardo Fibonacci gettavano le
basi della moderna cultura classica e scientifica.
La parte medievale del castello è chiusa, ci informano i
cortesi custodi che contestualmente ci fanno accomodare in una sala per
allattare Giulia, ma abbiamo comunque modo di vedere un impressionante sarcofago
marmoreo ritrovato nel territorio circostante e un’interessante collezione di
reperti antichi, tra cui un corredo funebre di una nobildonna che troviamo di
particolare attualità. Tra i monili e le ampolle ce n’è una, infatti, che
rappresenta i sette pianeti allora conosciuti con al centro il fulmine simbolo
di Zeus e le indicazioni sulle scoperte scientifiche e astronomiche note all’epoca.
Ci viene subito da pensare ad una Margherita Hack del passato e cerchiamo di
immaginare, con le scarse conoscenze, causa una nostra decisa ignoranza in
materia, delle usanze di quelle popolazioni nell’antichità, la vita di questa
donna evidentemente appassionata di scienze e forse scienziata di cui poco
sappiamo. Sembra quasi di vederla, coperta da caldi mantelli o avvolta in
morbide tuniche estive mentre osserva il cielo e il moto delle stelle, annota
nella sua mente i cambiamenti e cerca di comprendere le leggi per noi oggi basilari
della matematica e delle cosiddette scienze esatte. Probabilmente anche lei
avrà avuto le sue beghe e le sue difficoltà a far accettare la sua impertinente
presenza femminile tra i dotti con cui probabilmente amava conversare di
massimi sistemi e forse, chissà, potrebbe aver contribuito in modo consistente
allo sviluppo progressivo dell’astronomia. Sicuramente i rapporti matematici
sono una costante nel particolarissimo castello di Melfi, costruito da Federico
II e poi restaurato dalla famiglia Doria in pieno Rinascimento, in cui le
spigolose linee tipiche dell’architettura federiciana si incontrano con la
purezza delle morbide curve rinascimentali a creare un insieme di geometrie
dialoganti. Forse il paesaggio quasi ossimorico ha ispirato lo sviluppo e la
proliferazione della conoscenza in questo che in antichità era un crocevia
molto affollato e oggi è uno di quei segreti tesori ben custoditi della bellissima
Italia. La sola presenza in questo luogo di Michele Scoto e Leonardo Fibonacci
dovrebbe bastare a rendere l’idea di quali e quanti collegamenti tra Oriente e
Occidente vi siano stati, ne parliamo mentre Mamma Valentina si appoggia su
alcuni scalini per allattare Giulia e Papà Claudio sembra particolarmente
rapito da un reperto in bronzo raffigurante una donna alata che tiene in
braccio un uomo. Lo scozzese era uno tra i massimi esperti di Averroè, il dotto
arabo nato a Cordova nell’attuale Spagna i cui commenti alla Poetica di
Aristotele permisero la ridiffusione, la tutela e la conservazione del
fondamentale testo greco mente Fibonacci era un matematico fine conoscitore del
mondo arabo, ossia di quell’area del Mediterraneo che in quel momento era
intellettualmente e culturalmente vivacissima, e della numerazione araba e
indiana. Sembra quasi di sentire tra i rumori di bicchieri colmi di gustoso
vino del Vulture o di Aglianico le loro voci intrecciare i fili di quello che
sarebbe stato il sapere moderno in tante lingue diverse, ispirare la
costruzione di luoghi di cui ancora non si conosce l’utilizzo e di cui non si
sono comprese le funzioni.
Finiamo il nostro giro con le menti colme di stimoli
intellettuali, salutiamo e all’uscita un gruppetto di giovani ci invita a
vedere una mostra ma un refolo di freddissimo vento ci fa desistere e ci
incamminiamo verso la cattedrale. Giulia ha bisogno di respirare un po’ d’aria
fresca e, bardata con il piumino fiorato regalatole da Graziella, dalla
copertina fatta a mano da Nonna Enza e dal bavaglino in tono regalatole dalla
Prozia Anna, si incammina in braccio a Mamma Valentina per le stradine del
borgo mentre Papà Claudio carica il Book 51 sulla Focus e trova parcheggio
davanti al tribunale. Alla fine della discesa Mamma Valentina ha la sensazione
fortissima di essere uscita non tanto dal castello di Melfi quanto dall’Alcazaba
di Almeria, sensazione che viene rafforzata da alcune piazzette che ricordano
in modo impressionante il quartiere arabo della città spagnola. Ripassiamo davanti
alla statua in bronzo che ci aveva accolto entrando nel borgo raffigurante
alcuni bambini intenti a giocare a ruba-bandiera. Passiamo davanti alla casa
natale di Francesco Saverio Nitti, garibaldino e mazziniano Presidente del Consiglio
del Regno d’Italia, economista di fama internazionale e politico liberale,
liberista e libertario di rara intelligenza.
Ci fermiamo poi in una bottega per acquistare alcune
ceramiche e facciamo giusto in tempo ad ammirare lo splendido campanile della
cattedrale prima di ripartire verso Mentana. Il vento si fa sempre più freddo e
il cielo sempre più grigio, qualche gocciolina di pioggia ci convince
decisamente a riprendere la via di casa, facciamo una rapidissima visita a
Benevento senza trovare il modo di fermarci e ripartiamo speditamente. Arriviamo
a Mentana prima delle otto di sera, giusto in tempo per la cena e per alcuni
acquisti.