19 agosto 2016
Almería * Granada *
Faro * Autostrada
Ci svegliamo presto dopo un sonno ristoratore, avremmo voglia
di crogiolarci ancora un po’ tra le braccia di Morfeo, Valentina si alza prima,
cerca di far finta di essere sveglia. Facciamo colazione con orchata,
cappuccino a lunga conservazione e qualche Ringo rimasto nella borsa frigo, ci
laviamo, prepariamo i bagagli e andiamo via con il desiderio recondito di
restare ancora qualche ora, qualche giorno per immergerci nella fiesta locale.
La strada per Granada non è lunghissima ma abbiamo un timore reverenziale del
caldo e del sole, elementi da non sottovalutare assolutamente in questa parte
della Spagna in cui Asia, Africa, America e Europa sembrano ricollegarsi come
fossero un continente unico, mai diviso da evoluzioni geologiche. Attraversiamo
sierre e un deserto di terra fischiettando brani composti da Ennio Morricone,
da un momento all’altro potrebbe spuntare Clint Eastwood, lo sguardo intenso di
Sergio Leone sembra volerci guidare in questa parte di tragitto, all’interno di
un parco tematico a lui dedicato. Oltre il frinire gridato di grilli con una
capacità sonora impressionante sembra risuonare il tintinnio degli speroni e il
passo deciso nel rumoroso silenzio a preludio di duelli e sparatorie degne di
essere raccontate dalla maestria assoluta degli spaghetti western di
Leone-Morricone-Clint.
In silenzio, come giustamente si conviene in tale scenario,
lanciamo i nostri sguardi verso orizzonti polverosi, tra brulle zolle
inamovibili, cime piatte, cespugli appiattiti dalla forza del vento, asperità e
case scavate nella roccia con patii bianchi e gialli perfetti per una siesta
sotto un sombrero. Non sentiamo il rumore degli spari nel vento ma quello delle
pale eoliche che fendono l’aria per fornire alla Spagna energia pulita. La
piana accanto alla Sierra Nevada è un susseguirsi di pale eoliche e pannelli
solari, ci sono anche segnali di pericolo in caso di neve ma sembrano più un
miraggio in un deserto di caldo, polvere, chiarore e luce.
Riusciamo ad attraversare le sierre, il deserto e il set
cinematografico del Buono, il Brutto e il Cattivo, o forse di qualche altro
film, illesi, niente sparatorie, niente frecce avvelenate, scazzottate o duelli
memorabili e arriviamo a Granada, dove capiamo subito che questo sarà un
viaggio on the road alla scoperta del Sud occidentale dell’Europa. Non
ricordiamo se Kerouac abbia pensato ad una Pontiac, ma siamo certi che la Ford
Focus è perfetta per l’Europa.
Ci dirigiamo verso il parcheggio dell’Alhambra, dove un
ragazzo impiegato della società di parcheggi si dimostra particolarmente
gentile e comprensivo verso la preoccupazione della macchina carica. Proviamo a
capire se sia il caso di dargli una mancia, Claudio afferma che secondo lui si
potrebbe offendere, Valentina afferma che tentar non nuoce, gli facciamo capire
che vorremmo ringraziarlo per la cortesia ma rifiuta perché è il suo lavoro,
come aveva previsto Claudio.
Appena arriviamo alla biglietteria ringraziamo mentalmente
Cristina per averci suggerito di acquistare il biglietto online, un messaggio
diffuso con gli altoparlanti informa infatti che a metà mattina non c’era più
disponibilità per l’intera giornata.
Visitiamo il Palazzo di Carlo V dopo aver sbagliato strada e
aver percorso una salitella che con le temperature e il sole grenadino aveva
tutta l’aria di essere una parete da scalata. La corte interna strutturata come
un anfiteatro evoca la potenza dei quadri di Goya e la inconsistenza di potenti
e nobili in confronto alla forza della vita nel suo essere assolutezza presente
in divenire costante.
Rimaniamo assorti ad ammirare una impressionante tela di
Moreno in cui il pittore descrive con una memoria straordinaria l’episodio in
cui la madre del re islamico disse al figlio ‘ora piangi come una donna perché
prima non sei stato capace di difendere il tuo territorio’. Ci viene da
sorridere, le madri colpevolizzanti, espressione più palese del potere
matriarcale all’interno delle società fortemente patriarcali, hanno sempre
pronta qualche frase da scolpire a lettere cubitali con lo scalpello del
disonore nel cuore e nelle menti di figli e mariti maschi, e pertanto inetti
detentori di un potere che deve necessariamente essere indirizzato da sapienti
mani femminili e da parole che non vengono mai ascoltate appieno. D’altronde,
guai se lo fossero, un uomo che ascolta troppo una donna in una società
patriarcale potrebbe essere considerato un debole. Retaggi ‘culturali’ duri a
cambiare, mentalità che accomunano, nel male più che nel bene, le sponde del
Mediterraneo e qualunque società in cui l’oppressione femminile è stata
considerata parte integrante della mentalità, e finanche degli ordinamenti
giuridici.
Molto probabilmente Columbine, la scrittrice simbolo di
Almería, non avrebbe mai pronunciato una frase del genere ma questa è un’altra
storia.
Arriva finalmente il nostro turno per visitare l’Alhambra che
ci affascina coi suoi stucchi cesellati anche se la sensazione generale è quella
di una eccessiva negazione di qualunque forma espressiva che si concretizza in
virtuosismi decorativi ridondanti e di un formalismo astratto che sfiora la
purezza della matematica e dell’algebra senza però emozionare e risvegliare
pensieri e sentimenti come l’arte ‘occidentale’, cui siamo certamente più
abituati.
Dopo aver ammirato l’antica Granada attraverso le finestre e
i chiostri che rappresentano una delle massime espressioni dell’arte araba
nell’Europa occidentale, visitiamo l’Alcazaba, una specie di castrum
el-andalus, che non ci emoziona come l’Alcazaba di Almería.
Torniamo verso il parcheggio dove una strega antica in vesti
di zingara cerca di leggerci la mano con tre rametti di rosmarino in pugno, la
blocchiamo, ritroviamo il ragazzo gentile, paghiamo il parcheggio e andiamo
via, verso Cordova o Siviglia. Sulla strada decidiamo di arrivare direttamente
in Portogallo e ci spostiamo verso Faro rimpiangendo di non aver caricato in
macchina la splendida tenda 2 seconds di Decathlon regalataci da Mamma Lucilla
e Papà Pietro.
Tra Granada e Siviglia ci meravigliamo di ettari, ettari ed
ettari di monocoltura olivicola ,a d’altronde ci sembra che da queste parti
abbiano una tendenza a definire la vita a tinte forti, senza mezzi termini e
senza andare troppo per il sottile. Se in un posto crescono bene gli ulivi ecco
comparire distese di uliveti che si estendono oltre l’orizzonte visivo, se è
zona adatta alle vigne, enormi vigneti invadono colline e terre, se c’è lo
spazio per pale eoliche e pannelli solari intere piane, altipiani e montagne. Una
caratteristica che ci fa pensare molto all’America e poco all’Europa, dove le
diversità, le peculiarità specifiche di ogni luogo si integrano in un insieme
composito e armonioso fatto di dettagli, piccole eccellenze che si intrecciano
a creare unicità meravigliose. Questa parte della Spagna è netta, a tinte forti
e confini marcati con linee spesse come i contorni di Mirò.
Sconfiniamo, arriviamo a Faro, dove una forma di polverosa
sciatteria ci fa desistere dalla voglia di fermarci. Le case piccole, una
trasandatezza che taluni potrebbero trovare poetica non ci incanta nel ritmo
del pensiero espresso dalle poesie di Pessoa e di alcuni suoi eteronimi che
abbiamo iniziato a leggere ad alta voce tra Siviglia e il Portogallo.
Il cielo è nero nonostante la luna spenda potente tra stelle
e pianeti. Nubi dense di color antracite sembrano filtrare i raggi di Selene e
un forte profumo di eucalipti unito ad un odore acre e indefinibile riempie l’aria.
Avvicinandoci all’Oceano una linea rossastra all’orizzonte ci sorprende. Il sole
è tramontato da molto, che sia l’Oceano?
Con una enorme tristezza scopriamo che non è la Natura a
creare i colori di un quadro oscuro e un po’ inquietante ma l’ingordigia e l’idiozia
umana: raffinerie enormi distruggono la costa, inquinano il cielo, le nuvole, i
mari e la terra, le acque, offuscano il plenilunio fino oltre Lisbona.
L’avremmo dovuto forse intuire dal prezzo alto della benzina
al distributore anche se il prezzo dell’oro nero è evidentemente altissimo per
un impatto ambientale che sarà difficilissimo attutire.
Non è il turismo, ci viene da rispondere idealmente al
graffitaro barcellonese che ha espresso il suo pensiero su un muro della
capitale catalana, ad uccidere le città, ma lo ‘sviluppo’ irresponsabile e
insostenibile. Il turismo, se gestito in modo responsabile è, e può essere, una
fonte primaria di sviluppo sostenibile e foriero di pratiche per la protezione
e la tutela dell’ambiente e di tutto ciò che rende uniche le città e i luoghi.
I pensieri foschi ci opprimono, andiamo avanti sulla strada
fino a fermarci in una piazzola, stremati dalla stanchezza. Il Portogallo ci ha
accolti con gentilezza da parte delle persone e specialità alimentari molto
buone ma la nube di oscuri pensieri ci fa venir voglia soltanto di tornare a
casa, nella nostra amata, odiata e bellissima Italia. Crolliamo addormentati
sui sedili reclinati della Focus.