mercoledì 31 agosto 2016

Cronachette di un viaggio in Italia. Autostrada * Populonia * Agriturismo * Rispescia * Alberese * mare * Montiano * Magliano in Toscana * Rispescia * Alberese * Agriturismo

31 agosto 2016

Autostrada * Populonia * Agriturismo * Rispescia * Alberese * mare * Montiano * Magliano in Toscana * Rispescia * Agriturismo

Ci svegliamo verso le 8, assonnati e stanchi. La sosta per evitare un colpo di sonno si è rivelata una scoperta di nuove forme pubblicitarie molto carine sebbene taluni dettagli possano essere migliorabili. Ripartiamo subito verso Alberese, giriamo verso Populonia, per vedere il famoso Parco Naturale di Baratti, che non ci piace punto. Proseguiamo. Giungiamo a Rispescia e fortunatamente c’è un posticino per noi nel solito agriturismo, dove ritroviamo e possiamo finalmente salutare la Signora P., con cui chiacchieriamo brevemente di quanto accaduto nel tempo in cui non ci siamo viste e sentite. Un abbraccio, poi ci sistemiamo nella camera scaricando qualche bagaglio, torniamo ad Alberese per alcuni acquisti. Nel centro di Alberese compriamo biglietti dell’autobus, panini imbottiti che a Valentina ricordano molto quelli distribuiti dai chioschi tanti anni fa e l’immancabile Settimana Enigmistica, è l’edizione precedente, pazienza. Parcheggiamo, la Ford ancora carica ma non in modo eccessivo, l’autobus arriva quasi subito. L’Uccellina ci accoglie nella sua delicata bellezza di macchia mediterranea non distrutta dall’avidità edilizia degli esseri umani, l’odore di pini ci inebria. La spiaggia è abbastanza affollata nonostante sia la fine di agosto. Costruiamo una capannina recuperando legni dispersi, ci spruzziamo protettivo solare, sistemiamo gli asciugamani, una gran quantità di venditori ambulanti ci chiede di acquistare mercanzia. Ci innervosiamo, non ricordiamo tanta insistenza nel Parco, rispondiamo in modo secco, in modo piccato ci viene risposto: ‘con calma, con calma, poi io me ne vado’, chiediamo scusa ma gli ambulanti continuano a questuare e proporre merci da acquistare. Andiamo a farci un bagno, siamo stanchissimi e non ci va di discutere. Le onde lievi ci coccolano senza stancarci, scarichiamo le tensioni del viaggio, le gambe gonfie da troppo girovagare cominciano a riprendere una forma normale. L’acqua, che in altre occasioni avremmo trovato freddina, ci sembra quasi calda dopo quella gelida dell’oceano, per cui sguazziamo per circa un’ora. Siamo contenti di essere venuti nel Parco toscano, qualunque altro luogo ci sarebbe sembrato troppo affollato, costruito, urbanizzato, troppo poco ‘naturale’.
Mangiamo e osserviamo incuriositi una tribù di bambini trasformatisi per l’occasione in guerrieri tribali con tanto di bastoni rituali. L’oggetto della loro attenzione è una volpe che col suo musetto curioso non capisce tutte quelle urla. Si aspetterebbe forse una carezza o un pezzetto di cibo, ma i bimbi continuano ad esultare e gridando la fanno scappare.
Dormicchiamo un po’, compiliamo qualche schema di parole crociate, facciamo qualche bagno, l’Uccellina ci incanta come al solito, ci lasciamo cullare dalla sua bellezza fino a che arriva un temporale per cui dobbiamo riprendere la navetta e tornare verso Alberese. Nonostante cominciamo a rilassarci abbiamo ancora i ritmi frenetici del viaggio per cui decidiamo di andare alla cantina sociale. Valentina ricorda che quella più buona è dalle parti di Montiano, Claudio pensa sia dalle parti di Magliano. In effetti abbiamo ragione entrambi, è appena fuori Magliano verso Montiano. Acquistiamo vino e prelibatezze da regalare ad amici e parenti. Chiacchieriamo un po’ delle diverse mentalità tra Toscana e Lazio e ci dirigiamo verso l’agriturismo, non senza passare prima per l’alimentari di Rispescia. Claudio porta una bottiglia di vino alla Signora Paola che ci fornisce uno stendino per appendere i panni appoggiati sulle sedie in modo poco decoroso. Mangiamo, proviamo a connetterci ad internet senza riuscirci.

Abbiamo deciso di dedicarci qualche ora, di fermarci un po’ prima di ricominciare il tran tran quotidiano con la consapevolezza che dopo aver visto l’oceano qualcosa in noi è profondamente cambiato. Siamo felici di essere all’Uccellina, ci riavviciniamo pian piano all’urbanità dopo esserci inselvatichiti per qualche giorno, sapendo che non c’è niente di normale nel vivere in città inquinate, colme di cemento e di incomprensioni. Ci addormentiamo assonati.

martedì 30 agosto 2016

Cronachette di un viaggio in Italia. Friuli * Verona * Cremona * Roncole Verdi * Autostrada

30 agosto 2016

Friuli * Verona * Cremona * Roncole Verdi * Autostrada

Ci svegliamo verso le 7, indolenziti da un’ennesima notte senza un vero e proprio letto. Il Friuli ci accoglie con una generosa colazione, ettari di campi coltivati con le Alpi Giulie a far da cornice. Claudio ha voglia di un bel pasto caldo, gli vengono in mente i tortelli di Gina per cui ci dirigiamo senza indugio verso Verona anche se avremmo voglia di esplorare il Friuli, regione che sfugge ai nostri giri ancora una volta, così come il Piemonte, che per qualche motivo non siamo riusciti a vedere insieme. Il maltempo lascia gradualmente il passo ad una bella giornata di sole che scalda gli acini dell’uva matura pronta per la prossima vendemmia. Nelle pianure coltivate racchiuse dentro una nube di inquinamento sottile si aprono varchi verso luoghi meravigliosi e posti incantevoli. L’Italia, con le sue innumerevoli diversità, con l’abitudine ad abbellire a non esser mai contenti di sé nella tensione verso un miglioramento costante, ci fa sentire fieri di essere italiani. C’è qualcosa di bello nel BelPaese che ci fa sperare nella possibilità di andare avanti, di costruire arte e non soltanto industrie. Pur di mangiare i famosi tortelli Claudio decide di non passare né a Venezia né a Pellestrina, come vorrebbe Valentina, dunque proseguiamo speditamente sulla strada Romea, ovvero di quei pellegrini che erano diretti a Roma. Non essendo in Francia, dove le Vie Francigene hanno ottenuto riconoscimento internazionale, la Via Romea non ha cartelli turistici se non le semplici indicazioni stradali. Borghi con chiese di notevole pregio si rincorrono tra le distese verdi e gialle dove riposano gli aironi. Ne avvistiamo anche uno che ha tutta l’aria di essere cinerino, è piuttosto diverso dagli altri, bianchi, immacolati seppur vivano nel fango, noblesse oblige, verrebbe da pensare. A Verona troviamo subito parcheggio, abbiamo una piccola discussione sulla strada da percorrere per giungere nella splendida Piazza delle Erbe, poi Claudio dimostra facilmente di aver ragione per cui Valentina dovrà pagare il pranzo, camminiamo a passo svelto tra viuzze e piazzette colorate, elegantemente briose con i fiori che traboccano dalle finestre colorate in un tripudio di ritmi architettonici. Piazza delle Erbe ci fa rallentare il passo per la sua incomparabile beltà, i palazzi decorati con un gusto tutto italiano che esprime appieno la compresenza di stili e di tempi, peculiarità di molte città italiane particolarmente evidente in alcune di esse, tra cui Roma e, appunto la città dell’amore shakespeariano. Prima di fiondarci dentro la Bottega del tortello da passeggio, dove facciamo conoscenza con alcune persone e chiacchieriamo a lungo con una versione umana del gatto Roxy, di nome Giacomo, accompagnato da una ragazza, Silvia, passiamo accanto alla Casa di Giulietta. Pensiamo che questo è proprio il viaggio delle riunificazioni di grandi amori leggendari, ricordiamo il corteo nuziale per Ines e Pedro ad Alcobaca e a Valentina torna in mente una canzone che ha a che fare con un’onda bianca e il sole, cantata dalla splendida voce di Mamma Lucilla. I due antispecisti sono impegnati a cercare di capire e sperimentare nuove forme di economia senza soldi, discutiamo di politica e corruzione e riprendiamo la strada verso il bresciano per poi arrivare a Cremona dove troviamo tutto chiuso, Museo del violino, liuterie, negozietti, per cui, al contrario di Crema, non ci fa una grande impressione e ci sembra meno vivace di Salisburgo. Proseguiamo quindi nella Pianura Padana e ci troviamo a Roncole Verdi, la patria di Verdi e di Guareschi, dove c’è la minuscola piazzetta in cui è racchiuso l’immaginario italiano. 
Al bancone dove Guareschi mesceva vino e bevande una ragazza di origine rumena con un accento della Bassa degno dei migliori libri di Don Camillo e Peppone.
Proseguiamo e ci fermiamo in Autogrill vicino Parma dove mangiamo bene spendendo poco.

lunedì 29 agosto 2016

Cronachette di un viaggio in Europa. Austria * Germania * Austria * Italia. Tirolo * Monaco di Baviera * Salisburgo * Friuli

29 agosto 2016

Tirolo * Monaco di Baviera * Salisburgo * Friuli

Ci svegliamo verso le 8 indolenziti per la mancanza di un letto vero. Apriamo i finestrini e l’aria profumata del bosco dopo la pioggia si insinua nell’abitacolo, la cascata davanti ai nostri occhi ha aumentato parecchio la sua portata e dal rumore diremmo che anche il fiume si è ingrossato. Avremmo voglia di rimanere ma Valentina è un po’ inquieta. Il meteo prevede pioggia per oggi e vista la repentinità e la foga con cui si scatenano i temporali in montagna, con tanto di fulmini e raffiche di vento, non si sente tranquilla ad andare a fare le passeggiate che avremmo voluto fare. Ci facciamo la doccia a turno e Claudio asciuga le scarpe con il phon nella lavanderia, suscitando la curiosità ilare di alcuni campeggiatori. C’è qualcosa che ci fa stare bene qui ma forse è meglio andare, conosciamo poco la montagna e sappiamo bene che sottovalutarne i pericoli può essere più che rischioso fatale. Dunque ripartiamo non senza esserci assicurati che il coraggioso alpinista con una minuscola tenda che ieri sera aveva sfidato le intemperie e le forze naturali fosse ancora lì, aver salutato i roulottisti gentili e mentalmente i bambini che giocavano con una macchinina supersonica visto che la palla era proibita. Non ripartiamo proprio per niente, la Focus è stanca e non ne vuol sapere di mettersi in moto, almeno non fino all’intervento di alcune persone della reception del camping Edelweiss. Pronti? Via.
Salutiamo la valle con le montagne, le cascate, i fiumi e i torrenti, l’odore di bosco e gli abeti da cui sembra nascere la nebbia e dove pare di poter veder nascere le nubi.
Un posto magico che ci ha accolti con amore, proteggendoci dai pericoli alpini.
Arriviamo a Monaco attraversando la Baviera. Lo scenario cambia in modo evidente per Valentina e impercettibile per Claudio. L’architettura è molto razionale e le grandi campagne disseminate di fienili a forma di grandissime cucce per giganteschi cani. La quantità di mucche che abbiamo incontrato durante questo viaggio è enorme e si arricchisce di ulteriori varietà nella regione dell’Oktoberfest. Claudio non riesce a bere neanche una birra e questo lo rende nervosamente incredulo. Arriviamo a Monaco, mangiamo pretzle e un panino in un forno della catena Muller, dove non c’è il bagno e non vendono birra, soltanto acqua gassata aromatizzata alla frutta. Con l’aria contrita si accinge ad ingollare il panino. Facciamo rifornimento d’acqua in un supermercato lì di fronte, acquistiamo pane nero, formaggio, latte, muesli e il preziosissimo elemento che qui sembra avere un prezzo esorbitante nonostante la copiosa presenza di tale liquido.
Ci innervosiamo e decidiamo di tornare verso l’Austria, riattraversiamo la Baviera, scoprendo con sgomento che andare al bagno e bere acqua in questa parte dell’Europa è qualcosa di molto complicato e costoso. Proseguiamo verso Salzburg dove parcheggiamo, vorremmo trovare un hotel per dormire ma capiamo che i prezzi di questa ridente cittadina i prezzi sono proibitivi quando chiediamo una birra e una bottiglietta d’acqua e ne abbiamo conferma assoluta quando entriamo nell’ufficio informazioni del locale festival operistico. Consci di chiedere informazioni sul prezzo di biglietti di uno tra i più importanti e prestigiosi festival operistici internazionali non riusciamo a trattenerci dal ridere quando veniamo a sapere i costi. Gironzoliamo per le vie del centro, oggettivamente molto carino, anche se Claudio smania dalla voglia di andarsene. Tutta questa ostentazione di modestia non gli va particolarmente a genio. I prezzi eccessivamente alti di qualunque cosa ci fanno venire in mente le parole di chi dice che con la cultura non si mangia e ci fanno salire una rabbia sorda nei confronti di chi afferma di governarci. Ce la prendiamo con la scarna bellezza di edifici storici e chiese, seppur molto graziosamente decorati, dunque risaliamo sulla Ford e torniamo verso il confine italiano. Il tempo inclemente non ci impedisce di ammirare montagne verdi e blu con paesini di casette con ampi e protettivi tetti marroni, le nuvolette che si insinuano tra i monti. Salutiamo idealmente l’Austria e il campeggio Edelweiss nella Stubaital che ci ha ricaricato di energie e ci ha fatto entrare in contatto profondo con le Alpi.
Siamo stanchi, stremati da un viaggio molto diverso da quello che immaginavamo e che avevamo programmato, con tanta voglia di dormire in un lettone ma anche con tantissime immagini negli occhi, sensazioni, impressioni e l’idea che ‘fatta l’Europa bisogna fare gli europei’.
Non siamo passati a Innsbruck, dove ricordavamo alti personaggi di legno sparsi per la città, alti quasi quanto i personaggi della fiesta di Almería. Quando li abbiamo visti la prima volta ci erano sembrati Pinocchi giganti pronti ad animarsi al suono di un flauto magico suonato da un misterioso personaggio leggendario e fiabesco, li avevamo dimenticati nella calura spagnola ma evidentemente ci avevano richiamato, personaggi in cerca d’autore, di cantore o flautista.
Pensiamo che in fondo l’Europa è una realtà molto più ampia di quanto avessimo compreso, i cui confini sono definiti soltanto dalla fantasia e dal meraviglioso immaginario collettivo in cui personaggi reali e immaginari si intrecciano nelle storie delle persone, passando dal teatro agito nell’antica Grecia alle fieste spagnole, passando per le fiabe sussurrate ai bambini, gli unici che possano davvero capire la magia di una barba intrecciata quale criniera accarezzata da fate e streghette. I simboli incisi nelle rocce dialogano attraversando a zig-zag il Vecchio Continente.  

domenica 28 agosto 2016

Cronachette di un viaggio in Europa. Austria. Tirolo. La tempesta.


28 agosto 2016

Tirolo

Ci svegliamo dopo l’alba, intorno alle 8.30 e non crediamo ai nostri occhi. Siamo in un luogo meraviglioso, completamente immersi nella natura, tra le montagne coperte di abeti altissimi, accanto ad un ruscello impetuoso, di fronte a noi una cascata con ettolitri di acqua che scendono ad una velocità impressionante dalle alte montagne, all’orizzonte un ghiacciaio, tutt’intorno natura.
Decidiamo di restare qualche giorno qui. Sistemiamo l’abitacolo, i bagagli, e le borse così da poterci sdraiare comodamente. La Focus può essere utilizzata quasi come un mini-van e non ci lasciamo sfuggire l’occasione di soggiornare in un posto tanto spettacolare. Stiamo ritrovando i nostri ritmi vitali, ricominciamo a respirare, il cervello, il corpo e anche i capelli si rilassano. Paghiamo anche la seconda notte e ci adattiamo alla vita da campeggio.
Abbiamo la sensazione che tutto abbia un significato che ha poco a che fare con la razionalità.
Lo spirito di Tucci e la sua forza ci accompagnano in questo viaggio di conoscenza, più che di turismo.
Ci siamo accorti che c’è un nuovo modo di viaggiare e siamo parte di questa onda, siamo una tribù in movimento. I concetti espressi dalla Scuola di Comunicazione di Toronto sulle nuove forme di organizzazione civica e di socialità ci sembrano più che mai attuali.
Raccogliamo le energie e poi, forse ripartiremo, per il momento tutto ciò che abbiamo voglia di fare è essere.
Trascorriamo parte del pomeriggio a lavare e asciugare i panni nella lavanderia del Campingplatz Volderau, di quando in quando qualche persona si avvicenda ai lavandini e sorridendo cercano di capire in che modo possano essere di aiuto. Notiamo che gli uomini e i bambini sono addetti alle pulizie di panni e piatti e comunque non c’è in questo caso una suddivisione di ruoli maschilista, come sarebbe ovvio e normale in qualunque società. Gli uomini e le donne si aiutano a vicenda e imparano a collaborare tra loro sin da bambini. Valentina ritrova in questo molto della sua educazione, di concetti, idee e pratiche che hanno contraddistinto la sua infanzia e la sua adolescenza. Claudio si adegua e si sente a suo agio tanto che comincia a sbloccarsi con l’inglese e comunica lasciando andare una timidezza comprensibile seppur poco utile alla comunicazione verbale.
Dopo qualche minuto speso a cercar di capire come far funzionare le lavatrici fa il suo ingresso nella lavanderia un oriundo che molto carinamente inserisce la sua carta di credito austriaca e ci evita di trascorrere quasi due ore a spingere il bottone dell’elettricità ogni due minuti.
Non abbiamo la medesima fortuna con l’asciugatrice. Ci viene fame e facciamo merenda con i Gentilini e una Paulaner, sempre dentro la lavanderia, dopo poco arrivano delle donne che lavano i piatti, anche loro evidentemente svolgono tale mansione, non parlano inglese, ma comunichiamo lo stesso. Pensano che l’asciugatrice sia troppo lenta e che non sia una buona macchina. Offriamo loro un biscotto che sembrano non voler accettare ma poi si convincono alla parola ‘italiani’. Ci offrono quindi di utilizzare il loro stendino, in cambio accettano i biscotti restanti.
Sorridiamo felici, ci sentiamo un po’ tutti quanti parte di una specie di tribù.
Il tempo non è bellissimo, dalle montagne sembrano addensarsi nubi che poi corrono verso fondo valle, il cielo è di un azzurro rarefatto e terso. Andiamo a fare una passeggiatina, l’altitudine non si sente troppo ma la stanchezza del viaggio sì. Arranchiamo su una salitella simile a quella della Macchia del Barco, anche se tra abeti altissimi contornati da montagne di incommensurabile bellezza, cascate, ruscelli dove non si può non provare ad infilare i piedi per trarne beneficio e ristoro. Torniamo indietro e Claudio lava finalmente le sue scarpe. L’olezzo insopportabile o forse il fatto di averle lavate nei lavandini sbagliati scatena l’ira del cielo montanaro che scatena su di noi una bufera violentissima con scariche di pioggia, fulmini, saette e vento. Claudio va a prendere la Ford inzuppandosi per aver percorso qualche metro, va a prendere Valentina nella lavanderia con i panni asciutti, o quasi. Andiamo verso il paese più vicino, poi ci dirigiamo verso Neustiff, siamo un po’ spaventati dalla tempesta. In paese non troviamo un posto dove mangiare e torniamo indietro, la furia del vento si è placata, forse riusciremo a tornare al campeggio e mangiare qualcosa là. La strada è però bloccata, causa caduta massi, speriamo che il campeggio sia a posto e che le persone stiano bene. Immediatamente prima del blocco c’è una baitina dove possiamo fermarci, trovare riparo e rifocillarci. Mangiamo peraltro piuttosto bene per la prima volta da quando siamo arrivati in Tirolo e facciamo amicizia con alcuni avventori, alcuni turisti e altri gente del posto che non sembrano tanto spaventati quanto sorpresi.
Temiamo di non poter arrivare al campeggio, non ci sentiamo troppo tranquilli, chiediamo ripetutamente alla polizia e ai vigili del fuoco se il camping è sicuro, ci dicono di sì, i massi sono caduti più a monte e non c’è pericolo nell’area dove siamo.

Ci rilassiamo nella baitina ma siamo contenti quando possiamo tornare verso il camping. Non è possibile mettere in pratica la strategia per dormire che avevamo ideato causa maltempo per cui tiriamo giù i sedili e ci copriamo coi sacchi a pelo.

sabato 27 agosto 2016

Cronachette di un viaggio in Italia. Passo del Tonale * Val di Sole * Val di Rabbi * Merano * Tirolo

27 agosto 2016

Passo del Tonale * Val di Sole * Val di Rabbi * Merano * Tirolo

Ci svegliamo dopo l’alba, un po’ indolenziti dal viaggio e dall’aver dormito nella Focus. Il sole è alto nel cielo terso, il Passo comincia ad animarsi, i mercanti si svegliano e sistemano in bella vista oggetti da montagna, andiamo in un bar a turno a fare colazione e darci una rinfrescata. I raggi a quest’altitudine ‘incocciano’, scendiamo verso la Val di Sole dove facciamo colazione e commentiamo le recenti notizie sul terremoto. Non ci sono novità sulla diga di Campotosto e questo ci preoccupa un po’. Gli uffici del turismo perfettamente organizzati ci mettono di buon umore, comunque acquistiamo qualche giornale e cerchiamo di trovare un posto per la notte. Questo viaggio ha tutta l’intenzione di proseguire on the road e non riusciamo a fermarci. Mentre la Val di Sole ci accoglie e ci fa sentire bene, la Val di Rabbi, dove ci rechiamo incuriositi da un’iniziativa culturale multimediale sull’acqua, ci innervosisce alquanto per cui invece di tornare verso la Val di Sole ci dirigiamo verso Merano, non senza essere prima passati all’autolavaggio automatico e aver utilizzato ben dieci gettoni per riuscire a dare una pulita non troppo approfondita, la sabbia finissima dell’oceano mescolata a residui di molliche, foglie e foglioline raccolte dalle nostre scarpe durante il tragitto non vuole saperne di venir aspirata e la brezza oceanica mista alla terra del deserto, alla caliggine e allo smog ha creato una patina che non si vuole togliere dalla carrozzeria. Valentina si abitua lentamente all’altitudine e alle strade di montagna, arriviamo a Merano, cittadina che stranamente non ci dà claustrofobia. Parcheggiamo sotto le terme, che sembrano molto belle, ampie con tante piscine ma non ci ispirano granché. Preferiamo andare a cercare un posto per dormire, prima, però, non resistiamo alla tentazione di andare a mettere i piedi nell’acqua gelida del fiume cittadino, imitando gli abitanti. All’ufficio del turismo capiamo che una stanza non costa meno di novanta euro a notte in un albergo con una o due stelle, ci sembra un prezzo esorbitante, ringraziamo e usciamo per le vie della cittadella tirolese. Stando ai cartelli stradali dovrebbe essere addirittura pre-tirolese ma da queste parti si sentono tedeschi, non italiani. La toponomastica locale è decisamente ispirata al Risorgimento ma i negozi glorificano Mozart, la Principessa Sissi e altri compositori dell’Impero Austro-Ungarico. Ci sembra una città immersa nelle sue limitazioni auto-imposte. I tedeschi e gli austriaci non considerano i tirolesi come appartenenti alla loro patria mentre i meranesi non si degnano di essere italiani, rozzi, dongiovanni e maschilisti. Gli italiani sono ben diversi da ciò che i sudtirolesi immaginano, però è vero che c’è stato un passato in cui gli italiani sono stati così, o forse no, visto e considerato che la stragrande maggioranza dei siti UNESCO si trova nel BelPaese e che l’arte e la biodiversità prodotte dagli italiani sono ineguagliate e ineguagliabili.
Entriamo in una libreria, i libri italiani sono al secondo piano. Ci viene un po’ di tristezza per questo mondo conchiuso in cui tutto è collegato ad un’identità nazionale negata.
Pensiamo di aspettare un paio d’ore e di gironzolare per la città, poi di entrare in un bar e collegarci ad internet così che Claudio possa vedere in pace la partita di calcio.
Passeggiamo nella calma ovattata delle strade pulite e ben ordinate, con qualche palazzo non perfettamente tirato a lucido, ci guardiamo negli occhi e andiamo verso il parcheggio a riprendere la Focus.
Ci dirigiamo verso Vipiteno passando per le montagne. Guidare tra le stradine impervie non è facilissimo, frotte di motociclisti corrono in modo abbastanza incosciente, qualche macchina d’epoca romba tra i tornanti mentre i veri eroi della strada montana, i ciclisti, attraversano silenziosi salite e discese impegnative anche per le quattro ruote motorizzate.
Le montagne di un blu che fa inevitabilmente pensare ad un arcaico mare pietrificato sono talmente belle da far dimenticare qualunque stanchezza e negatività.
Ci par di volare nell’infinito movimento della natura e della vita. Breve sosta in un bar di un Passo dove alcune aquile si muovono ferme e repentinamente scattano tuffandosi nell’aria rarefatta e limpidissima.
I rapaci reali ci accompagnano da giorni, Claudio si spaventa un po’ in un’area di pic-nic dove ci fermiamo per mangiare il tonno e il pane comprati in Spagna con un po’ di mais italiano, pensa che ci abbiano puntati ma non siamo prede per i loro artigli e le guardiamo con la curiosità con cui si osservano esseri tanto maestosi.
Andiamo via temendo di trovarci ad affrontare tornanti dopo il tramonto e ci fermiamo in un paese appena prima di Vipiteno dove Claudio può guardare la partita e pensiamo di pernottare in un campeggio, l’idea non ci stuzzica troppo anche se avremmo bisogno di ricaricare le batterie di telefoni, computer e di fare una bella doccia rigenerante. L’alternativa è andare verso l’Austria, Paese che Claudio ama particolarmente.
Arriviamo a Stubaital di notte, siamo stanchi e assonnati, non troviamo niente che ci piaccia e un sincero sconforto ci assale. Ci sembra che tutto ciò che abbiamo fatto, i chilometri percorsi siano stati soltanto un’inutile diversivo per non rilassarci e sarebbe stato meglio, molto meglio, restare vicino all’oceano.
Mentre vaghiamo nella valle tirolese cercando un posto dove dormire ci viene una gran voglia di gridare, le montagne ci sembrano ostili, i balconcini di legno con i fiorellini ci evocano il discorso di Peppino Impastato sulla bellezza, non riusciamo a capire perché siamo qui e nemmeno in che modo riuscire a trovare un luogo per riposarci e ripartire.

Finalmente approdiamo ad un campeggio, c’è una donna gentile che ci accoglie, il prezzo è abbordabilissimo, i bagni perfetti. Posizioniamo la Focus, la aggiustiamo per la notte e ci addormentiamo nel buio più fitto.

venerdì 26 agosto 2016

Cronachette di un viaggio in Italia. Autostrada * Terme di Colà * Passo di Crocedomini * Passo del Tonale

26 agosto 2016

Autostrada * Terme di Colà * Passo di Crocedomini * Passo del Tonale

Ci svegliamo dopo una notte alla guida e qualche ora di sonno nel parcheggio dell’Autogrill, ben diversi da quelli degli altri Paesi, molto puliti e ben tenuti. Abbiamo il bisogno di riposare un po’ e andiamo verso le Terme di Colà. Bellissime, al solito. L’oceano continua ad essere nei nostri pensieri, nei nostri sguardi e nella nostra memoria corporea. Non riusciamo a toglierci di dosso la sensazione di libertà, il colore dei raggi del sole, così dissimile eppure assimilabile a quelli che attraversano i boschi del Monte Bianco, l’oro della sabbia, la velocità delle onde. Qualcosa è cambiato in noi, è come se avessimo scoperto, vissuto la libertà, come se avessimo compreso qualcosa di più intenso, di più vero.
Non siamo soli, ci rendiamo conto che molte persone vivono le nostre stesse sensazioni. Ci sembra che ci sia un nuovo modo di viaggiare, che tanto nuovo non è ma è tornato di moda.
Abbiamo visto molti autostoppisti per le strade, cosa che non si vedeva da molti anni, e molti ‘acchittano’ van, minivan e furgoncini a guisa di camperini piccoli e agili che facilmente riescono a passare tra le viuzze europee.
C’è voglia di libertà e ci auguriamo fortemente che questo desiderio sia condiviso da tante persone. Le città ci sembrano sempre più luoghi in cui viene messa in atto una forma di tortura di persone e ambiente, una forma di distruzione non necessaria, tanto dannosa quanto assolutamente inutile.
Speriamo che le persone si rendano conto di quanto sia fondamentale rispettare l’ambiente.
Alle terme ci rilassiamo ma Valentina, stranamente, trova l’acqua caldissima e riesce a sguazzare poco, abbiamo le gambe gonfie da troppe ore in macchina e abbiamo una gran voglia di tornare verso l’oceano o comunque di camminare tra le montagne e ruscelletti freschi.

Breve chiacchierata con i termalisti e poi via verso le montagne, vorremmo andare a vedere il tramonto al Rifugio Crocedomini e così facciamo. Le vette dialogano con una nebbiolina leggera e una sensazione di infinito ci pervade. Prendiamo un aperitivo, quindi camminiamo un po’ per entrare in contatto col luogo. Un anfiteatro magico ci abbraccia. Il rumore umano si infiltra tra suoni d’acqua, di campane e di animali. Parliamo, camminiamo e finalmente spegniamo i telefonini. È ora di stare un po’ tra noi, di vivere appieno il nostro rapporto e la felicità di essere in mezzo al Parco dell’Adamello Brenta, nella valle dei simboli, la Valcamonica. Torniamo verso il rifugio, Claudio regala un disco The Balmung al gestore del rifugio, beviamo un altro aperitivo, poi prendiamo la chitarra e cominciamo a cantare mentre il sole tramonta tra i picchi. Sembra di volare o di essere in una qualche forma di paradiso. Descrivere ciò che proviamo in quel momento è pressoché impossibile. Non abbiamo voglia di niente, non sentiamo il bisogno di alcunché, siamo, semplicemente e assolutamente siamo nell’istante presente, siamo parte della perfezione e tutto ci appare per ciò che è. O meglio, tutto è ciò che è nel momento stesso del suo essere. Qualcosa, appunto, di indescrivibile, che è possibile soltanto vivere per qualche istante di pura estasi meditativa. Al Rifugio ci sentiamo accolti in un ambiente familiare e amico. Per la seconda volta il Crocedomini ci coccola nel suo canto di sirena camuna e per l’ennesima volta la valle di Cernunnos ci ammalia con la sua naturale e meravigliosa bellezza. Quando usciamo a riveder le stelle, e la Via Lattea, abbiamo la tentazione di rimanere lì, rientriamo e riusciamo dal rifugio come attratti inevitabilmente da una forza, un magnetismo complessissimo e al contempo talmente elementare da apparire ovvia. Proseguiamo, Valentina si addormenta profondamente, la sua testa in eterno movimento si è finalmente rilassata e per qualche ora riesce a non pensare a niente di niente di niente, Claudio guida fino al Passo del Tonale dove tiriamo giù i sedili, stendiamo i sacchi a pelo e ci addormentiamo tra le stelle e una nube che avvolge la notte. 

giovedì 25 agosto 2016

Cronachette di un viaggio in Italia. Valle d'Aosta. Varreyes * Valgrisenche * Courmayeur * Donnas * Autostrada

25 agosto 2016

Varreyes * Valgrisenche * Courmayeur * Donnas * Autostrada

Ci svegliamo tardi, verso le nove. Facciamo una lunga doccia, laviamo i capelli e ci asciughiamo. Godiamo la visuale dal giardino delle montagne, la campana della chiesetta ci dà il buongiorno. È tutto molto bello, molto gradevole. Avremmo voglia di restare ma ‘bisogna andare’. Sistemiamo un po’ i bagagli, paghiamo e ci dirigiamo verso Aosta, dopo pochi metri tra le strade cittadine un senso di claustrofobia ci assale e scappiamo verso la Valgrisenche, dove salutiamo idealmente Grisanche, il Sanbernardo di peluche che è ormai parte della nostra vita. Ci calmiamo appena arriviamo in mezzo alle montagne, tra la natura, le casette sparse e un ritmo che sembra naturale, giusto, vero. Le strade sono piene di curve e tornanti e un po’ di mal di macchina ci scombussola lo stomaco. All’ufficio postale incontriamo un personaggio che ha parenti in Abruzzo e a Torlupara. Chiacchieriamo un po’ e veniamo a scoprire che è arrivato in Valgrisenche quasi negli stessi anni in cui Valentina, Mamma Lucilla e Papà Pietro sono passati di là, portando con sé il peluche. Coincidenze che ci fanno sorridere. Abbiamo voglia di restare ma andiamo via, continuiamo a macinare chilometri, diretti verso il Monte Bianco, calamita di roccia che ci attrae a sé con il canto suadente di enorme sirena apparentemente immobile. Le notizie del terremoto continuano a scuoterci, avremmo il desiderio di essere lì, aiutare, far qualcosa ma sappiamo che non servirebbe a niente, sarebbe più dannoso che utile, considerando che la strada di accesso ad Amatrice è particolarmente impervia e stretta e rischieremmo di ostacolare i soccorsi anziché agevolarli. Arriviamo a Courmayeur, molto carina. Prima di arrivare Sua Maestà il Monte Bianco ci abbraccia idealmente in una emozionante forza di bellezza assoluta. La cittadella non ci dà il senso di claustrofobia delle altre città ma è pur sempre un centro urbano. Troviamo un caffè bellissimo dove incontriamo un personaggio un po’ particolare, invitato dal locale festival, si definisce un avventuriero e fa cose un po’ strane quali scalare il Kilimangiaro dopo aver attraversato a nuoto un fiume pieno di animali voraci e aver corso per una quarantina di chilometri sotto il sole africano per poi riscendere e ricominciare a correre. Gli chiediamo perché, ci risponde per amore dell’avventura. Ci viene da sorridere, pensiamo alle storie di cavalieri, draghi e principesse rinchiuse in qualche torre di castello, ma lui non ha parlato di principesse o di tornei da vincere, soltanto di spirito d’avventura, non conosce Tucci ma sembra animato da uno spiritello dispettoso, un duende o qualcosa del genere. Non sapremmo dire. Andiamo via, Valentina ha difficoltà con l’altitudine e preferisce scendere a valle. Il viaggio prosegue.
Arriviamo a Donnas, ci fermiamo in una trattoria pub valdostano irlandese dove hanno la connessione wi-fi. Ci rifocilliamo e chiacchieriamo un po’, lei è un donnone con un carattere evidentemente focoso, testarda e con la voglia di andar via dalla valle che le sembra eccessivamente chiusa, lui è mingherlino, con boccoli tra il biondo e il rossiccio, timido e gentile, ama la storia della Valle d’Aosta, è innamorato della sua terra, di quel territorio dove i raggi del sole sono lamine d’aria dorata che filtra attraverso le cime di alberi ad alto fusto. Montagne silenziosamente innevate d’inverno e rumorosamente cariche d’acqua in estate, dove è possibile parlare con gli alberi e gli abitanti di tutti i boschi di qualunque pianeta.
Lei è innamorata dell’Irlanda, del mare freddo e impetuoso che abbraccia le scogliere ripide, di un popolo che parla con le popolazioni di tutti i boschi di qualunque pianeta.
Lui ha convinto lei a rimanere, sono felici insieme anche se le opinioni sul concetto di abitabilità non convergono.
Ci troviamo a nostro agio. Forse un po’ ci fanno pensare a noi, alla nostra storia, alla necessità che abbiamo di stare insieme e all’insofferenza per tante cose. La differenza maggiore è forse data dal fatto che Claudio è tutto tranne timido e gentile. Gentile forse, ma timido proprio no. Le nostre litigate somigliano a guerre e fanno pensare a quel vulcano dal nome impronunciabile che qualche anno fa ha bloccato il traffico aereo di mezza Europa finché non s’è chetato. Notizie del terremoto continuano ad arrivare a tratti, ci sentiamo nell’impossibilità di agire concretamente. Temiamo per l’incolumità di chi è ancora là e di chi abita nella valle al di sotto della diga di Campotosto. E soprattutto temiamo per l’ingordigia di chi potrebbe evitare disastri e tragedie ma è troppo avido per salvare vite, paesi, luoghi. Il suono agghiacciante di risate unte di sete di denari echeggia nella nostra memoria. Speriamo che questa volta sia diverso, speriamo che si riesca a sentire il rumore delle risate soddisfatte di soccorritori e persone con senso civico e il suono melodioso delle lacrime di chi sa di poter contare ancora su ciò che è veramente importante in una società.

Avremmo voglia di fermarci a Donnas ma proseguiamo, arriviamo verso Milano, coperta da una coltre di rosso fumo, segno inequivocabile di inquinamento. Pensiamo che l’umanità si stia sbagliando di grosso, che ci sia qualcosa di profondamente errato in tutto ciò che è chiamato ‘sviluppo’. È assolutamente necessario agire per creare sviluppo sostenibile, rispettare la natura non è un’opzione è una assoluta necessità.

mercoledì 24 agosto 2016

Cronachette di un viaggio in Europa. Autostrada * dintorni di Seez * Passo del Piccolo San Bernardo * La Thuille * Pré Saint Didier * Verrayes di Nus

24 agosto 2016

Autostrada * dintorni di Seez * Passo del Piccolo San Bernardo * La Thuille * Pré Saint Didier * Verrayes di Nus

Ci svegliamo ad un orario imprecisato prima dell’alba e riprendiamo subito la strada verso l’Italia. Attraversiamo la Francia in autostrada passando tra le colline di Bordeaux, il parco naturale con i vulcani spenti, territori a noi ignoti e proseguiamo senza fermarci se non per qualche breve, brevissima sosta. Ci diamo il cambio alla guida un paio di volte, superiamo le città con la tristezza negli occhi e la rabbia nel cuore. Il paesaggio francese scivola via oltre il finestrino della Ford Focus, anch’essa non particolarmente intenzionata a fermarsi in questa landa in cui imprigionano l’oceano con campeggi organizzati con animatori, discoteche e altre forme di distrazione di massa. Guidiamo e non riusciamo neanche a cantare, le onde continuano a muoversi nei nostri corpi e nella nostra pelle. Le nuvole di brezza oceanica sono l’immagine che ci ristora dalla stanchezza. Ci sentiamo frustrati, nervosi, esausti. Ad un certo punto del percorso, nel pomeriggio entriamo nella regione del Rodano, le montagne imponenti placano l’arsura di libertà, ci torna il buon umore. Ci fermiamo per comprare qualche sciroppo, proseguiamo verso Bourg Saint Maurice per svalicare dal Passo del Piccolo San Bernardo, i tornanti e le curve infinite non ci distolgono dal senso di profonda pace delle montagne. Sentiamo il richiamo del Monte Bianco e ci sentiamo profondamente avvolti nell’essenza più pura della bellezza.
Arriviamo in Italia, riconosciamo luoghi e da qualche dettaglio che non riusciamo a definire ci sentiamo in patria, nel nostro Paese. L’altitudine ha i suoi effetti collaterali e preferiamo scendere a valle, le teste confuse da uno stordimento che ci istupidisce. A Prè-Saint-Didier abbiamo voglia di fermarci, non troviamo il luogo adatto, ci fermiamo a chiedere informazioni negli alberghi e cerchiamo su Booking, dove riusciamo a trovare un posto perfetto per noi. Un paesino di tre case, una casetta con tetto di ardesia a gestione familiare con persone a dir poco carinissime, abbiamo voglia di fermarci ancora ma non è possibile, possiamo stare soltanto una notte.
Non è ancora ora di dormire, però. Abbiamo bisogno di mangiare qualcosa e ci rechiamo in un ristorantino vicino, consigliatoci dal gestore, dove intavoliamo discussioni e conversazioni con gli avventori e veniamo a sapere del terremoto amatriciano. Siamo profondamente addolorati e cerchiamo di capire in che modo dare una mano. Non sarà possibile, è già arrivato l’esercito, leggiamo freneticamente su internet. Temiamo per la diga di Campotosto, pare sia costruita su una falda sismica. I nostri pensieri si rabbuiano, vorremmo essere lì, aiutare, agire e ci rendiamo conto di non poterlo fare, a meno di non rischiare l’arresto per aver ostacolato operazioni di salvataggio da parte di esercito e protezione civile.
Chiacchieriamo con gli altri, ci sono anche due ragazzini coi capelli bianchi e il corpo un po’ asciugato dall’età, pare siano americani, emanano gioia di vivere. Ci attardiamo a conversare con i proprietari del ristorante e una coppia di Assisi, il discorso inevitabilmente va a finire su politica e pregiudizi. Ci salutiamo con un W Mazzini! W Garibaldi!

Un rapido sguardo alle stelle e poi ci addormentiamo come ghiri.

martedì 23 agosto 2016

Cronachette di un viaggio in Europa. Spagna e Francia. Pimiango * Cueva del Pindal * Playa de Meron * San Vicente de la Barquera * Playa de Oyambre * Santillana * Suances * Galizano * Argonos * Bilbao * San Sebastian * Irun * Biarritz * Lacanau-Ocean * Austostrada


23 agosto 2016

Pimiango * Cueva del Pindal * Playa de Meron * San Vicente de la Barquera * Playa de Oyambre * Santillana * Suances * Galizano * Argonos * Bilbao * San Sebastian * Irun * Biarritz * Lacanau-Ocean * Austostrada

Ci svegliamo immediatamente prima dell’alba dopo esserci addormentati sotto un cielo carico di stelle con la via lattea a definire il senso dello spazio. Claudio dormicchia ancora un po’ e non ne vuol sapere di alzarsi a guardare il sole sorgere dall’acqua cullato dai Picos de Europa e dalle colline asturiane mentre la luna splende alta nel cielo. Valentina prova a svegliarlo ma desiste dall’impresa per non perdersi lo spettacolo naturale. L’oceano deve essere stato un ballerino in qualche forma di esistenza fatto sta che non si può resistere alla tentazione di muoversi danzando o comunque accennando una danza. Mentre il sole, con tutta calma e tranquillità si degna di fare capolino dalle acque la luna ha un guizzo di vanità e sembra voler splendere di luce propria per far notare alla sua stella quanto è bella e soprattutto che è stata tutto quel tempo ad aspettare che si destasse soltanto per ricreare l’unione perfetta che è il loro eterno amore.
Mentre Valentina danza yogheggiando Claudio si alza e la raggiunge. Si siede stordito da tanta meraviglia. Ci guardiamo, ci abbracciamo e ci diamo il buongiorno. Troviamo dunque il modo di lavarci un po’ e cambiare i vestiti, l’odore di pulito della lavanderia a gettoni ha profumato tutto l’abitacolo e sistemare i sacchi a pelo non è cosa poi così disagevole.
Ci inoltriamo nel bosco delle streghe fino ad arrivare ad una chiesetta che è un gioiellino e alla Cueva del Pindal dove sono custodite pitture murali preistoriche. Non possiamo vederle perché è ancora chiuso e non c’è neanche un ingresso disponibile per almeno altri tre giorni. Lo scenario naturale è talmente bello che non ce ne facciamo un cruccio e ricominciamo ad andare. Abbiamo preso confidenza con l’oceano e ci sentiamo pronti per un bagno a digiuno che ci riempie di folle gioia e felicità atavica.
Gridiamo per il freddo gelido e ci lanciamo nelle e sulle onde divertendoci, gridando e ridendo in un gioco stancante e rigenerante al contempo.
Cerchiamo di capire da che verso prendere le onde, di petto, di testa oppure cercando di volare sopra di esse a ricrearne la forma stilizzata?
Se la spuma è già piuttosto bianca ci lanciamo facendoci travolgere nell’effervescenza compatta, se invece è alta e si vede la punta aguzza ci lanciamo come angeli che vogliono spiccare il volo e ricadiamo dall’altra parte, se si vede la punta aguzza e contestualmente la spuma abbiamo due teorie divergenti. Claudio afferma che è più divertente lanciarsi di schiena in una specie di stage diving mentre Valentina è indecisa tra il ‘surfare’ col corpo tentando di prenderla in orizzontale, il lanciarsi dentro e la posizione a uovo di schiena. Ci troviamo d’accordo sulla bellezza di un improvvisato body-surfing lanciandoci sopra quelle con la spuma più lunga.
Usciamo dall’acqua dopo una decina di minuti che ci sembra un tempo eterno, stremati ci asciughiamo avvolgendoci negli accappatoi, ci cambiamo e ripartiamo verso un’altra scogliera e un’altra spiaggia. Santillana ci incuriosisce molto, con la sua struttura di città medievale da fiaba ma c’è troppa gente, o almeno così ci sembra. In realtà qualunque centro abitato con più di una casa ci sembra troppo affollato e l’oceano ci richiama ancora una volta a sé, dopo aver fatto alcuni giri ed esserci rifocillati un po’.
Nel pomeriggio possiamo nuovamente tuffarci nell’oceano per qualche minuto che sembra un tempo lunghissimo anche perché ci sfianca scaricandoci e ricaricandoci al contempo di energie e forze. Lo scenario è quello di un set cinematografico permanente e l’acqua è gelida tanto che quando ritorniamo verso riva i torrentelli quasi chilometrici creati dall’alta marea in un’onda lunghissima che sembra voler ricongiungere tutte le onde del pianeta ci sembra calda come quella della doccia.
Ripartiamo anche se la Spagna Verde, Galizia, Asturie e Cantabria ci hanno fatti innamorare di quella passione che soltanto la libertà sa rendere perfetta.
Ci avviciniamo alle città e un sentimento di disagio e oppressione ci assale, non abbiamo neanche bisogno di dircelo, l’idea di fermarci a vederle non ci passa neanche per l’anticamera del cervello e proseguiamo.
Le parole di On The Road risuonano nei nostri gesti.
‘Dove dobbiamo andare?’
‘Non lo so ma dobbiamo andare’.  
Ci sentiamo così, inebriati, onde lunghe di viaggio.

Andiamo avanti e arriviamo in Francia e con nostra enorme delusione scopriamo che l’oceano non è oceano ovunque ma soltanto nei luoghi in cui lo lasciano libero di esprimersi. Qui sembra una fiera ingabbiata, un mastodontico animale di incredibile bellezza irretito in piccole mediocrità. Scappiamo, letteralmente. Attraversiamo tutta la Francia fermandoci a dormire un paio d’ore nel parcheggio di un autogrill, siamo scontenti, infelici, rabbiosi, esprimiamo tra noi il mugghiare della fiera che viene trattata come un fenomeno da baraccone nella civilissima, si fa per dire, Francia, dove per trovare un bagno decentemente pulito lungo la strada bisogna accontentarsi di prati e asfalto.

lunedì 22 agosto 2016

Cronachette di un viaggio in Europa. Spagna. Otur * Neda * Ortigueira * Oviedo * Tazones * Faro di Tazones * Lastres * Colunga (casa sogni) * Playa de la Vega * Ribadesella * Llanes * Pendueles * Colombres * Pimiango

22 agosto 2016

Otur * Neda * Ortigueira * Oviedo * Tazones * Faro di Tazones * Lastres * Colunga (casa sogni) * Playa de la Vega * Ribadesella * Llanes * Pendueles * Colombres * Pimiango

Ci svegliamo prima dell’alba e usciamo subito a camminare sulla spiaggia. L’oceano è impetuoso, non riusciamo ancora a capirne bene il motivo ma sappiamo che ci attrae a sé come la calamita attira la polvere di ferro. Camminiamo e la brezza che tutto avvolge rinfresca il viso e lava via il sonno dai nostri occhi. Camminiamo insieme ai gabbiani, poi il sole sorge e il giorno riprende la sua continuità. Claudio torna a dormire mentre Valentina cerca di comunicare con l’elemento liquido, la grande massa di acqua, alghe, sale è evidentemente viva, è qualcosa di forte, potente e indefinibile. Valentina lo guarda, cerca di respirare insieme a lui, a comprenderne il ritmo, o l’odore e il rombo che sembra emettere, un ruggito mugghiante di assolutezza. La marea è alta e ha quasi raggiunto il parcheggio, ieri notte arrivava almeno centocinquanta metri più avanti, la velocità con cui le onde si susseguono è tale che la sabbia non fa in tempo a compattarsi più di tanto, i gabbiani stanno lì, in piedi sulle loro zampe palmate a contemplare il loro territorio, forse riposano o semplicemente si godono il panorama. Valentina li osserva per un po’ poi guarda nuovamente l’oceano nella sua immensità, seppur conchiusa in una baia e sente risuonare nella testa le parole di Isadora Duncan. Danzate con le onde, diceva, danzate col ritmo del mare, siate onde. Respira e poi il corpo comincia a muoversi, diventa brezza, i movimenti sono lentissimi, poi arriva l’onda e i piedi si spostano a formare linee immaginarie, ne arriva subito un’altra e il ritmo irregolare si trasforma in musica che dà il tempo, la danza parte dai piedi e si sviluppa su nel bacino, contemporaneamente parte anche dalle mani, dalle braccia, dalle mani, contemporaneamente. L’oceano è entrato a suo modo, danzando nel corpo, nella pelle, nella mente, unendosi e diventando danza che diviene onda. La brezza avvolge la danza mattutina, ne trasporta l’essenza in mare aperto e torna nel respiro, nel corpo degli occhi con la forza della morbidezza. Le orme sulla sabbia si intrecciano come trama di un arazzo su un telaio labile e ricorrente. I passi, le linee e le forme umane sono molto simili a quelle prodotte dagli altri animali, filigrane delicatissime di un’armonia assoluta e comprensibile soltanto nell’essere momento presente, forza e debolezza, compresenza, bellezza. La mattina prosegue, diamo una sistemata alla Ford e poi proseguiamo il viaggio, salutiamo la baia che ci ha accolti in un abbraccio protettivo e non soffocante, ricominciamo ad andare. Ci spostiamo verso la costa e poi andiamo a Oviedo, cittadina molto carina, con luoghi di certo interesse tanto da aver ottenuto l’ambitissimo riconoscimento dell’iscrizione nella lista del patrimonio materiale dell’UNESCO, ma, appunto, città e non oceano. All’ufficio informazioni turistiche l’addetta comprende subito che non siamo in animo di camminar per centri abitati e vogliamo vedere qualcosa di diverso, centri piccoli, le diciamo. Ci guarda, osserva il nostro modo di guardare, forse emaniamo desiderio di libertà e ci indica le più belle spiagge delle Asturie, dicendoci che ci sta indicando i centri storici più pittoreschi. La ringraziamo sul momento ma la ringrazieremo molto di più una volta raggiunti i luoghi che ci ha indicato e che ovviamente sono di una bellezza che nessun essere umano, neanche un genio assoluto come Leonardo o Michelangelo o Goya o Giotto, riuscirà mai ad esprimere, nonostante la tensione verso la perfezione dell’essenza sia nelle loro opere particolarmente emozionante. Descrivere l’oceano è impossibile. Ci hanno provato in tantissimi ma è semplicemente impossibile perché non si può descrivere ciò che è in modo tanto assoluto e potente. Il sentimento che ci pervade è quello di una necessità di verità, natura e bellezza.

Finalmente riusciamo anche a tuffarci in quel mare enorme e freddissimo e tutto diventa unicità completa e infinita. Non c’è altro se non l’acqua, noi, la natura e l’essenza stessa della vita. 

domenica 21 agosto 2016

Cronachette di un viaggio in Europa. Spagna. Autostrada * Galizia * Combarro * Campo Lameiro * Santiago de Compostela * Bergantinos * Otur

21 agosto 2016

Autostrada * Galizia * Combarro * Campo Lameiro * Santiago de Compostela * Bergantinos * Otur

21 agosto 2016

Autostrada * Galizia * Combarro * Campo Lameiro * Santiago de Compostela * Bergantinos * Otur

Ci svegliamo presto, e ripartiamo. Siamo assonnati dalla notte scomoda, proseguiamo verso una parte della Galizia di cui abbiamo visto delle immagini, con una specie di granai a palafitta molto suggestivi. Ci fermiamo a fare benzina e rinfrescarci un po’, il benzinaio cerca di capire cosa stiamo cercando, cerchiamo di spiegargli ma il nome ‘hórreo’, ‘horru’ non lo ricordiamo proprio. Parliamo un gibberish di italiano, spagnolo, francese, inglese, lui sembra non comprendere, poi l’illuminazione sul suo volto si esprime nella splendida parola che avevamo dimenticato, sorride, ci guarda con aria sorpresa e poi ci indica la strada che porta a Combarro. Prima di arrivare ci fermiamo a fare colazione in una specie di bar-ristorante-pensione di fronte alla laguna. La ragazza cerca di capire in che modo si possa considerare ‘colazione’ un cappuccino e un tè. Vorrebbe fornirci del pane o delle fette biscottate con la marmellata ma non ne ha, le chiediamo la cortesia di prendere i Pavesini in macchina, sorridiamo complici nella risoluzione di quello che avrebbe potuto essere un problema. Tiriamo fuori tutte le nostre mappe e cartine, Claudio le guarda con un misto di sospetto, curiosità e irritazione, decidiamo il percorso per la giornata, che verrà ovviamente ridefinito durante il viaggio. La laguna è in realtà un’insenatura dove l’oceano placa la sua furia e si esprime in forme che fanno pensare ai laghi del Nord America. A Valentina ricorda vagamente il Lago Ontario. Ci rilassiamo mentre abituiamo gli occhi ai colori netti del giorno, in cui il blu e il verde del Nord del Pianeta si combinano con una perfezione naturale alla ardente calura del Sud in un paesaggio meraviglioso, vagamente hopperiano se non fosse placidamente calmo. Ripieghiamo le cartine geografiche, paghiamo e salutiamo, quindi arriviamo a Combarro. Troviamo parcheggio e cominciano ad aprirsi intorno a noi negozietti dal nome che evoca streghe e streghette, strano, pensiamo prima di entrare nel centro storico, ovvero nel bel mezzo di un paese delle streghe in piena regola, con i pietroni, le casette basse, i gatti che si aggirano placidamente, sembra che si sentano capiti in questo luogo. La chiesa è piccolissima, al centro della piazza creata dalle rocce dell’Oceano una stele con una croce, presumibilmente celtica. In un negozio di souvenir troviamo alcune calamite con segni grafici che ci fanno pensare alle iscrizioni rupestri della Val Camonica. Chiediamo, in quella lingua europea o mediterranea fatta di gesti, parole e qualche reminiscenza di regole grammaticali, dove si trovino quelle iscrizioni, ci guardano e decidono che forse possiamo anche essere adatti a ricevere tale informazione. Proseguiamo il nostro giro incantandoci profondamente nel paesino che è pieno di hórreos o horru ma soprattutto è colmo di energie meravigliose che sembrano racchiudere in sé tutta la bellezza e la forza dell’Oceano.
Salutiamo Combarro e i suoi abitanti, ringraziamo mentalmente il benzinaio e proseguiamo verso Campo Lameiro.
Sulla strada la Spagna nord-occidentale ci spiega che non siamo più in Portogallo, in quella terra in cui tutto è piccolo e ben tenuto tranne le chiese enormi e l’Oceano immenso.  
Giungiamo a Campo Lameiro sbagliando strada un paio di volte e perdendoci tra viottoli di montagna, c’è una gran costruzione in cemento armato, entriamo, tutto sembra ben organizzato, se non fosse per il rumore quasi assordante in quel silenzio atavico dei ventilatori sarebbe perfetto.
Entriamo e troviamo un ragazzo che parla benissimo l’italiano e che ci spiega, con dovizia di particolari, le differenze tra Campo Lameiro e la Val Camonica.
Claudio vuole avere notizie di Cernunnos e il ragazzo ci spiega che probabilmente le raffigurazioni del cervo erano un modo per segnare il calendario, a quanto pare elaborato anche in modo piuttosto preciso. Discutiamo e chiacchieriamo delle varie ipotesi, poi cerchiamo di capire l’organizzazione culturale galiziana e ci meravigliamo di tanta attenzione a ciò che sarebbe ovvio e troppo spesso non è neanche auspicabile, quindi ci avventuriamo in complesse disquisizioni universali.
La parte museale è organizzata a dir poco molto bene, con laboratori per bambini e adulti, video immersivi e strutture per comprendere le varie fasi delle ricerche.
Usciamo verso il parco archeologico, che ci incanta, anche se il rumore dei ventilatori è davvero troppo forte, sembra quasi che disturbi le sensazioni che le iscrizioni emanano.
Finiamo il giro e andiamo al bar per fare pipì e bere qualcosa, quindi torniamo verso la macchina, Claudio regala un CD The Balmung al ragazzo per ringraziarlo delle spiegazioni e perché, gli dice, ha la sensazione che potrebbe piacergli visto che ama la cultura italiana. Lui è felicissimo e ripartiamo. Ci dirigiamo verso Santiago de Compostela, affollatissima di pellegrini giunti a destinazione del cammino spirituale. Mentre Valentina ammira strade e straduzze, le case basse del color della terra di Siena dorata, i bastoni con le conchiglie tradizionali e l’imponente chiesa, Claudio ha una specie di rifiuto assoluto verso tutto quell’avvicendarsi di offerte di ‘dolcetti di Santiago’, souvenir, e soprattutto di mercanti nel tempio, entriamo nella chiesa e ne usciamo talmente velocemente da non poterne descrivere le oggettive bellezze. Claudio ha un rifiuto assoluto per tutto ciò che gli appare come oppressione della spiritualità e il contrario del sentimento religioso. Cominciamo dunque ad avvicinarci all’Oceano, pressoché ‘scappando’ dall’affollatissima Santiago de Compostela. Sulla via le conchiglie con il simbolo del cammino e pellegrini in cammino con ritmi ben diversi da quelli della cittadella dove sono diretti.

L’oceano ci accoglie con diffidenza e non riusciamo ancora ad entrarci completamente, poi d’improvviso si farà comprendere, ‘scoperta’ che cambierà radicalmente il nostro concetto di libertà.

sabato 20 agosto 2016

Cronachette di un viaggio in Europa. Portogallo. Autostrada * Sintra * Salinas * Alcobaça * Batahala * Sao Pedro del Meul * Autostrada

20 agosto 2016

Autostrada * Sintra * Salinas * Alcobaça * Batahala * Sao Pedro del Meul * Autostrada 

Ci svegliamo davanti ad un autogrill, il cielo ancora polveroso all’orizzonte riporta la tristezza nei nostri occhi. Proseguiamo un po’ innervositi. Il Portogallo comincia pian piano a schiudere il suo carattere di ostrica oceanica al nostro sguardo. Paesini che sembrano chicchi di un rosario si susseguono radi e vicini in un paesaggio che cambia velocemente. Case basse, compatte, essenziali trasudano dignità e un passato non troppo remoto di oppressione e povertà. Alcuni luoghi fanno pensare vagamente all’Abruzzo di Silone e non è difficile immaginare qualche Torlonia locale. Le case piccole, decorate in bianco, azzurro e giallo e spesso con le mattonelle decorative tipiche dell’artigianato locale, trasudano dignità e una essenza di necessità. Niente fronzoli, niente esagerazioni, qualche decorazione anche molto elaborata e ciò che è necessario, un giardinetto ben tenuto, recinzioni basse, chiesette di campagna semplici e vissute e poi l’oceano con la sua maestosa forza di assolutezza. Di quando in quando si scorgono tra pinete, piantagioni di eucalipti, vigneti e piantagioni varie, guglie non troppo appariscenti da lontano che preludono alla visione impressionante di monumentali luoghi di culto non appena ci si avvicina. Neanche in Portogallo hanno mezze misure, o fanno qualcosa di piccolo, modesto, dignitoso e carino oppure costruiscono edifici talmente belli da essere dichiarati Patrimonio UNESCO. Così. Il primo luogo che visitiamo è Sintra, dove si erge il castello con facciate differenti in base alla direzione di potenziali attacchi da potenziali invasori, edificio che esprime appieno il senso pratico di questa strana nazione tanto difficile da comprendere in poco tempo quanto affascinante e meravigliosa. Le parole di Pessoa e la sua capacità di essere interprete, creatore e personaggio si concretizzano in questa costruzione amena e sorprendente. Proseguiamo cancellando le prenotazioni per alberghi e luoghi in cui dormire. Questo Paese ci sta facendo ritrovare un sentimento di selvaggia libertà che ci sembrava di aver dimenticato tra pentole, padelle, libri, ferri del mestiere e obblighi familiari o imposizioni sociali in cui avviluppiamo pensieri e pratiche di libertà durante l’anno. Proseguiamo, superiamo Lisbona attraversando ponti che sovrastano insenature e paesaggi fiabeschi, nordici, atlantici. Le grandi città non ci attirano, abbiamo troppo poco tempo per comprendere questa nazione e non è nelle vie affollate e in fondo un po’ tutte uguali delle metropoli che possiamo trovare ciò che stiamo cercando, anche se non sappiamo esattamente cosa sia. Forse è la saudade, che qualcuno ha definito come nostalgia del non ancora vissuto, ma più probabilmente è la gentilezza nelle parole e negli occhi di persone che sembrano non aver mai mescolato i propri geni con quelli di altre popolazioni, fieramente lusitani al punto da chiamare ‘luso’ qualunque cosa dai negozi alle acque minerali.
Una fierezza antica traspare dagli sguardi impenetrabili e dolci di ciascuna persona con cui parliamo e questa dolcezza che si intravede nella lingua melodiosa e dura, rigida come una lingua balcanica e melliflua come soltanto gli idiomi del Sud e del Mediterraneo sanno essere. Nelle sonorità conchiuse nella vitalità di sorrisi guizzanti dentro visi impassibili si esprime la complessità della Babele euromediterranea e si intuisce un collegamento profondo, concreto e fortissimo, con le sponde americane al di là di quell’oceano che impressiona al primo sguardo, affascina e spaventa per la sua forza. Passiamo per caso in una salina dove sono state ricostruite le capanne di legno degli operai di un passato non ancora troppo remoto, la stanchezza trapela dalle piramidi luminescenti di sale. Attraversiamo paesini che furono di pescatori e ci sorprendiamo per il coraggio dimostrato da queste persone che con barchette di legno piccole e relativamente fragili affrontavano un mare denso e pericoloso, mai calmo. Dopo aver girovagato senza una meta precisa tra paesini e paselli ci fermiamo ad Alcobaça attirati dal simbolo UNESCO e, come sempre accade con i siti dichiarati di interesse per l’intera umanità dall’Agenzia Specializzata delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, la cattedrale in stile gotico fiorito, o internazionale, con aggiunte successive di decorazioni e fregi che testimoniano l’evoluzione artistica portoghese in seguito ai contatti con l’arte sudamericana e in relazione alle nuove mode e tendenze europee, ci affascina e ci incanta nella sua bellezza. Appena arriviamo c’è una specie di processione per il Carnevale estivo con la banda in una piazza costituita da case piccole, basse, decorose e belle senza essere chiassose davanti al riccamente decorato e imponente edificio di culto dove la povera gente, la popolazione, non era ammessa fino all’epoca dell’Illuminismo. La processione è per Ines e Pedro i due innamorati separati da una sorte avversa e ricongiunti idealmente nella tradizione e nel sentire popolare. A volte le favole si avverano. Attraversiamo il giardino dell’amore, ci teniamo per mano pensando che, in fondo, la nostra storia d’amore, per motivi e con modalità affatto differenti, non è poi così dissimile. Ci guardiamo senza rivolgerci lo sguardo, le nostre dita si intrecciano in un abbraccio silenzioso e ci baciamo davanti ai troni marmorei eretti a futura memoria, visto che qui la memoria ha un futuro, che a volte si chiama saudade, altre opportunità, scoperte e viaggi al di là di ogni ragionevole comprensione.
Proseguiamo il viaggio con la sensazione di essere immersi in tanti multiversi di senso, molti più di quanti potremmo immaginare e le parole poetiche e profetiche di Pessoa, o meglio di uno tra i suoi tanti eteronimi, sulla realtà, il presente e, fondamentalmente, il senso della vita, risuonano come il rumore ricorrente delle onde oceaniche nelle nostre menti e nei nostri corpi.
Per forza d’inerzia o per voglia di comprendere e conoscere senza lasciare che le impressioni iniziali scivolino verso una conoscenza troppo superficiale per poter essere profonda, continuiamo a viaggiare verso Nord e sul nostro cammino incontriamo un negozio di bicchieri, piatti e oggettistica per la casa dove chiediamo informazioni per le famose fabbriche di mattonelle decorate, veniamo indirizzati a Batahalla, ci incuriosisce il nome e andiamo verso uno tra i monasteri più belli della Regione centrale del Portogallo, anch’esso Patrimonio UNESCO.
La struttura è in gotico fiorito con evidenti influenze moresche e successive modificazioni che hanno trasformato suggestioni da mondi lontani in simboli architettonici comprensibili alla cultura europea, ricchissimo di decorazioni, con vetrate colorate, chiostri meravigliosi, archi cesellati in ricche decorazioni scolpite nella pietra fino a creare delicatissime filigrane marmoree. Proseguiamo il tragitto e arriviamo all’oceano, a Sao Pedro de Meul, dove c’è un faro da cartolina e l’oceano ci avvolge nella sua forza. Non abbiamo voglia di far altro che di stare lì ad essere parte di qualcosa tanto immenso quanto la Natura, caparbia e resiliente nonostante la presenza di esseri umani scellerati. Le parole della bigliettaia della chiesa di Santa Maria del Pi a Barcellona e il proverbio spagnolo su malerbe e caproni si concretizza nella assurda, incomprensibile, idiota attitudine ad inquinare un Pianeta meraviglioso come la Terra. È vero, ci verrebbe voglia di risponderle, è per questo che difendere la democrazia, la libertà e l’ambiente è così importante.
   

venerdì 19 agosto 2016

Cronachette di un viaggio in Europa. Spagna e Portogallo. Almería * Granada * Faro * Autostrada

19 agosto 2016

Almería * Granada * Faro * Autostrada

Ci svegliamo presto dopo un sonno ristoratore, avremmo voglia di crogiolarci ancora un po’ tra le braccia di Morfeo, Valentina si alza prima, cerca di far finta di essere sveglia. Facciamo colazione con orchata, cappuccino a lunga conservazione e qualche Ringo rimasto nella borsa frigo, ci laviamo, prepariamo i bagagli e andiamo via con il desiderio recondito di restare ancora qualche ora, qualche giorno per immergerci nella fiesta locale. La strada per Granada non è lunghissima ma abbiamo un timore reverenziale del caldo e del sole, elementi da non sottovalutare assolutamente in questa parte della Spagna in cui Asia, Africa, America e Europa sembrano ricollegarsi come fossero un continente unico, mai diviso da evoluzioni geologiche. Attraversiamo sierre e un deserto di terra fischiettando brani composti da Ennio Morricone, da un momento all’altro potrebbe spuntare Clint Eastwood, lo sguardo intenso di Sergio Leone sembra volerci guidare in questa parte di tragitto, all’interno di un parco tematico a lui dedicato. Oltre il frinire gridato di grilli con una capacità sonora impressionante sembra risuonare il tintinnio degli speroni e il passo deciso nel rumoroso silenzio a preludio di duelli e sparatorie degne di essere raccontate dalla maestria assoluta degli spaghetti western di Leone-Morricone-Clint.
In silenzio, come giustamente si conviene in tale scenario, lanciamo i nostri sguardi verso orizzonti polverosi, tra brulle zolle inamovibili, cime piatte, cespugli appiattiti dalla forza del vento, asperità e case scavate nella roccia con patii bianchi e gialli perfetti per una siesta sotto un sombrero. Non sentiamo il rumore degli spari nel vento ma quello delle pale eoliche che fendono l’aria per fornire alla Spagna energia pulita. La piana accanto alla Sierra Nevada è un susseguirsi di pale eoliche e pannelli solari, ci sono anche segnali di pericolo in caso di neve ma sembrano più un miraggio in un deserto di caldo, polvere, chiarore e luce.
Riusciamo ad attraversare le sierre, il deserto e il set cinematografico del Buono, il Brutto e il Cattivo, o forse di qualche altro film, illesi, niente sparatorie, niente frecce avvelenate, scazzottate o duelli memorabili e arriviamo a Granada, dove capiamo subito che questo sarà un viaggio on the road alla scoperta del Sud occidentale dell’Europa. Non ricordiamo se Kerouac abbia pensato ad una Pontiac, ma siamo certi che la Ford Focus è perfetta per l’Europa.
Ci dirigiamo verso il parcheggio dell’Alhambra, dove un ragazzo impiegato della società di parcheggi si dimostra particolarmente gentile e comprensivo verso la preoccupazione della macchina carica. Proviamo a capire se sia il caso di dargli una mancia, Claudio afferma che secondo lui si potrebbe offendere, Valentina afferma che tentar non nuoce, gli facciamo capire che vorremmo ringraziarlo per la cortesia ma rifiuta perché è il suo lavoro, come aveva previsto Claudio.
Appena arriviamo alla biglietteria ringraziamo mentalmente Cristina per averci suggerito di acquistare il biglietto online, un messaggio diffuso con gli altoparlanti informa infatti che a metà mattina non c’era più disponibilità per l’intera giornata.
Visitiamo il Palazzo di Carlo V dopo aver sbagliato strada e aver percorso una salitella che con le temperature e il sole grenadino aveva tutta l’aria di essere una parete da scalata. La corte interna strutturata come un anfiteatro evoca la potenza dei quadri di Goya e la inconsistenza di potenti e nobili in confronto alla forza della vita nel suo essere assolutezza presente in divenire costante.
Rimaniamo assorti ad ammirare una impressionante tela di Moreno in cui il pittore descrive con una memoria straordinaria l’episodio in cui la madre del re islamico disse al figlio ‘ora piangi come una donna perché prima non sei stato capace di difendere il tuo territorio’. Ci viene da sorridere, le madri colpevolizzanti, espressione più palese del potere matriarcale all’interno delle società fortemente patriarcali, hanno sempre pronta qualche frase da scolpire a lettere cubitali con lo scalpello del disonore nel cuore e nelle menti di figli e mariti maschi, e pertanto inetti detentori di un potere che deve necessariamente essere indirizzato da sapienti mani femminili e da parole che non vengono mai ascoltate appieno. D’altronde, guai se lo fossero, un uomo che ascolta troppo una donna in una società patriarcale potrebbe essere considerato un debole. Retaggi ‘culturali’ duri a cambiare, mentalità che accomunano, nel male più che nel bene, le sponde del Mediterraneo e qualunque società in cui l’oppressione femminile è stata considerata parte integrante della mentalità, e finanche degli ordinamenti giuridici.
Molto probabilmente Columbine, la scrittrice simbolo di Almería, non avrebbe mai pronunciato una frase del genere ma questa è un’altra storia.
Arriva finalmente il nostro turno per visitare l’Alhambra che ci affascina coi suoi stucchi cesellati anche se la sensazione generale è quella di una eccessiva negazione di qualunque forma espressiva che si concretizza in virtuosismi decorativi ridondanti e di un formalismo astratto che sfiora la purezza della matematica e dell’algebra senza però emozionare e risvegliare pensieri e sentimenti come l’arte ‘occidentale’, cui siamo certamente più abituati.
Dopo aver ammirato l’antica Granada attraverso le finestre e i chiostri che rappresentano una delle massime espressioni dell’arte araba nell’Europa occidentale, visitiamo l’Alcazaba, una specie di castrum el-andalus, che non ci emoziona come l’Alcazaba di Almería.
Torniamo verso il parcheggio dove una strega antica in vesti di zingara cerca di leggerci la mano con tre rametti di rosmarino in pugno, la blocchiamo, ritroviamo il ragazzo gentile, paghiamo il parcheggio e andiamo via, verso Cordova o Siviglia. Sulla strada decidiamo di arrivare direttamente in Portogallo e ci spostiamo verso Faro rimpiangendo di non aver caricato in macchina la splendida tenda 2 seconds di Decathlon regalataci da Mamma Lucilla e Papà Pietro.
Tra Granada e Siviglia ci meravigliamo di ettari, ettari ed ettari di monocoltura olivicola ,a d’altronde ci sembra che da queste parti abbiano una tendenza a definire la vita a tinte forti, senza mezzi termini e senza andare troppo per il sottile. Se in un posto crescono bene gli ulivi ecco comparire distese di uliveti che si estendono oltre l’orizzonte visivo, se è zona adatta alle vigne, enormi vigneti invadono colline e terre, se c’è lo spazio per pale eoliche e pannelli solari intere piane, altipiani e montagne. Una caratteristica che ci fa pensare molto all’America e poco all’Europa, dove le diversità, le peculiarità specifiche di ogni luogo si integrano in un insieme composito e armonioso fatto di dettagli, piccole eccellenze che si intrecciano a creare unicità meravigliose. Questa parte della Spagna è netta, a tinte forti e confini marcati con linee spesse come i contorni di Mirò.
Sconfiniamo, arriviamo a Faro, dove una forma di polverosa sciatteria ci fa desistere dalla voglia di fermarci. Le case piccole, una trasandatezza che taluni potrebbero trovare poetica non ci incanta nel ritmo del pensiero espresso dalle poesie di Pessoa e di alcuni suoi eteronimi che abbiamo iniziato a leggere ad alta voce tra Siviglia e il Portogallo.
Il cielo è nero nonostante la luna spenda potente tra stelle e pianeti. Nubi dense di color antracite sembrano filtrare i raggi di Selene e un forte profumo di eucalipti unito ad un odore acre e indefinibile riempie l’aria. Avvicinandoci all’Oceano una linea rossastra all’orizzonte ci sorprende. Il sole è tramontato da molto, che sia l’Oceano?
Con una enorme tristezza scopriamo che non è la Natura a creare i colori di un quadro oscuro e un po’ inquietante ma l’ingordigia e l’idiozia umana: raffinerie enormi distruggono la costa, inquinano il cielo, le nuvole, i mari e la terra, le acque, offuscano il plenilunio fino oltre Lisbona.
L’avremmo dovuto forse intuire dal prezzo alto della benzina al distributore anche se il prezzo dell’oro nero è evidentemente altissimo per un impatto ambientale che sarà difficilissimo attutire.
Non è il turismo, ci viene da rispondere idealmente al graffitaro barcellonese che ha espresso il suo pensiero su un muro della capitale catalana, ad uccidere le città, ma lo ‘sviluppo’ irresponsabile e insostenibile. Il turismo, se gestito in modo responsabile è, e può essere, una fonte primaria di sviluppo sostenibile e foriero di pratiche per la protezione e la tutela dell’ambiente e di tutto ciò che rende uniche le città e i luoghi.
I pensieri foschi ci opprimono, andiamo avanti sulla strada fino a fermarci in una piazzola, stremati dalla stanchezza. Il Portogallo ci ha accolti con gentilezza da parte delle persone e specialità alimentari molto buone ma la nube di oscuri pensieri ci fa venir voglia soltanto di tornare a casa, nella nostra amata, odiata e bellissima Italia. Crolliamo addormentati sui sedili reclinati della Focus.


giovedì 18 agosto 2016

Cronachette di un viaggio in Europa. Spagna. Autovía * Lorca * Almería

18 agosto 2016

Autovía * Lorca * Almería


Ci svegliamo nella notte in un parcheggio di autogrill dopo aver dormito qualche decina di minuti per evitare colpi di sonno visto che Valencia ci aveva a suo modo incoraggiati a proseguire verso Sud. Riprendiamo la strada dopo aver girato nella notte ed esserci riposati per qualche momento in una stazione di servizio dove abbiamo mangiato la tortilla di patate e salsicce e ci siamo divertiti a vedere un gruppetto di donne brindare servite di tutto punto, come fossero in un luogo lussuosissimo, sebbene fossero sedute su sedie di plastica CocaCola posizionate su un tappeto di erba plasticata davanti ad una pompa di benzina. Noblesse oblige. Siamo stanchi, nervosi e ci viene in mente che forse questo viaggio ‘non s’ha da fare’ e sarebbe meglio, molto meglio tornare nel nostro BelPaese. La luna è quasi piena, la visibilità ottimale e sembra che il satellite della Terra abbia tutta l’intenzione di illuminare il nostro cammino, proseguiamo, per il momento. Man mano che andiamo avanti la Spagna di Don Chisciotte e Sancho Panza si svela ai nostri occhi stanchi ma ancora capaci di meravigliarsi davanti a scenari ameni e particolarissimi. La sensazione di essere in una qualche parte dell’America e non in Europa si fa concretezza man mano che ci spostiamo verso Sud. Una natura brulla e rigogliosa di verzura, oasi estesa in quello che potrebbe sembrare il set di un film western, esibisce spavalda alla luce lunare la sua meravigliosa nudità, ammaliandoci con distese di agrumeti e altri alberi da frutto piccoli e di un verde scuro, intenso che protegge le radici dal caldo. Ringraziamo mentalmente Valencia per averci spronato ad andare, percorrere questa via nelle prime ore del pomeriggio sarebbe stata a dir poco una pessima idea, ce ne accorgiamo quando sorge il sole che alle nove di mattina già riscalda come i raggi di un caldo luglio a mezzogiorno da noi. Lungo il percorso ci fermiamo qualche volta per esigenze primarie e per evitare colpi di sonno in autogrill moderni e in posti in cui la brace è sempre accesa in grandi camini dove arrostire carne tutta la notte, posti che fino a qualche decennio fa non era così difficile incontrare percorrendo le strade italiane. La luna illumina il percorso e la voglia di andar via pian piano che Claudio guida verso Sud comincia a diradarsi. La costa mediterranea spagnola, affollata di palazzi moderni ed evidentemente attrezzata con divertimenti che potrebbero far pensare alla Riviera Romagnola non ci ispira granché mentre il paesaggio solitario, brullo e poeticamente caldo dell’entroterra stimola la nostra fantasia. Ci riaddormentiamo nel parcheggio di un autogrill e ci svegliamo mentre la luna sta tramontando e il sole sta sorgendo prepotente e con l’aria di voler infuocare l’aria. La scena è bellissima e tutto il nervosismo, la stanchezza e l’incavolatura sembrano svanire di fronte a tanto splendore naturale. Ci fermiamo a Lorca, arriviamo al castello, bello e chiuso a quell’ora e proseguiamo verso Almería, dove troviamo subito l’albergo, possiamo parcheggiare la macchina e ci incamminiamo per le vie del centro storico, dove ci accoglie il pittoresco mercato centrale. Siamo stanchi, avremmo decisamente bisogno di una doccia e di dormire eppure la città ci incanta con la sua bellezza modesta e sfacciata al contempo. Almería è una città araba, europea, americana. È assolutamente spagnola, una città di gatti, musicisti e arte con un ritmo in cui acqua, aria, terra e fuoco si uniscono a creare un’unicità composta di nette diversità. Le calli e i vicoli, in cui la compresenza moresca e cristiana è palese, sono enduendade. Le parole di Federico Garcia Lorca sul Duende, lo spiritello che anima cuori, talenti e menti spagnole, sembrano materializzarsi in un’onirica quotidianità. Visitiamo i luoghi di interesse, tra cui un centro di informazione turistica con museo interattivo annesso sulla storia della città dove incontriamo virtualmente un re arabo liberto, un vescovo cattolico e la prima corrispondente di guerra donna, una femminista che naturalmente stimola la nostra curiosità. Cercando il centro d’informazione turistico entriamo in un ufficio municipale dove ci accolgono personaggi alti più del doppio di noi, un ragazzo che è una delle tante personificazioni del Duende, ma che potrebbe anche far pensare allo shakespeariano Puck, con gli occhi illuminati da lampi di divertita felicità, il corpo esile e la vitalità che sprizza da tutti i pori. Lì veniamo a sapere che durante il week-end si svolgerà una fiesta che culminerà lunedì con la cavalcata dei giganti nella cittadella. Ci imbattiamo poi in un ufficio culturale provinciale che ci stimola non poco le idee, anche se ad Almería tutti i nostri neuroni sembrano essersi riattivati magicamente. Visitiamo il Museo della Chitarra e in men che non si dica è ora di andare in albergo. Facciamo il check-in e possiamo finalmente fare una bella doccia. Mangiamo frutta dolcissima e rinfrescante, proviamo ad uscire nel caldissimo primo pomeriggio, arriviamo fino al lungomare dove enormi alberi, che, come dice Claudio, sono opere d’arte, ci avvolgono in una frescura impensabile con queste temperature. Ci adeguiamo subito alle abitudini locali per quanto concerne la siesta, dormiamo un po’ e poi ci rituffiamo nel vortice della cittadella, mangiamo uno spuntino a base di baccalà squisito. Attraversiamo il quartiere arabo e vediamo la monumentale Al Alcazaba, con la luna quasi piena che illumina l’aria blu solsasse e giallo oro colma di calura e polvere che fa pensare al deserto. Il luogo in sé è meraviglioso e c’è poco da dire sull’amenità di una fortificazione con un lussureggiante giardino immersa tra colline brulle a protezione di una medina abbarbicata di fronte al Mar Mediterraneo dove l’acqua e la turgida vegetazione rinfrescano l’aria e stimolano i grilli a frinire ad un volume altissimo, mai sentito neanche nella piana di Campo Imperatore. Veder sorgere la luna enorme dal mare e tra le feritoie della muraglia mentre un personaggio che ricorda le gesta del fondatore di questo luogo in cui Oriente e Occidente, Sud dell’Europa e Sud del Mediterraneo, Africa e Europa convergono a creare qualcosa di unico e meraviglioso, è naturalmente spettacolare e molto emozionante. Prima di andar via recitiamo alcuni mantra accanto ad una fontana da cui sgorga acqua che sembra provenire dagli abissi celesti più che dalle viscere di una terra creatrice ed essenziale. Usciamo quasi per ultimi e su un terrazzo possiamo vedere una piccola parte di concerto con tre chitarristi che fanno pensare alle tre corde della mente umana raccontate da Pirandello e recitate da Eduardo. Torniamo verso l’albergo con gli occhi, il corpo e la mente colmi di Almería, piccola, mica tanto, città che ci ha ammaliati, stregati e fatto ballare con lei nel suo ritmo unico e fiabesco.  

mercoledì 17 agosto 2016

Cronachette di un viaggio in Europa. Spagna. Sant Just Desvern * Barcellona * Sant Just Desvern * Valencia * Autostrada

17 agosto 2016

Sant Just Desvern * Barcellona * Sant Just Desvern * Valencia * Autostrada


Ci svegliamo relativamente presto dopo una bella dormita nel comodo lettone dell’albergo, prepariamo le valigie così da avere subito pronto il cambio per le prossime tappe del viaggio. L’umore è cambiato, “’a nuttata” è passata. Claudio dorme ancora un po’ mentre Valentina cerca di svegliarsi, quindi ci prepariamo, carichiamo la macchina che lasciamo nel parcheggio mentre ci avviamo in tram verso Barcellona. Abbiamo modo di apprezzare l’ampia rete di mezzi pubblici, tram e metropolitane con fermate attrezzate per l’acquisto di biglietti e abbonamenti con bancomat o carta di credito, informazioni in tempo reale su fermate e arrivi, proprio come in Italia, uguale uguale. Le grandi strade barcellonesi fanno pensare più all’America che all’Europpa, tutto sembra ben organizzato e molto efficiente, la città caotica, disordinata e un po’ pericolosa, movimentata e danzereccia, un po’ trucida forse ma unica ormai è un ricordo per turisti. Botteghe sporche e case adorne di antichi fregi borghesi anneriti dalla sciatteria si trovano soltanto nelle vie affollate di stranieri della città vecchia e fanno pensare ad una cartolina ingiallita dal tempo in un negozietto di souvenir spagnoli fatti in chissà quale Paese del lontano Oriente o di un qualche Sud di un mondo tanto remoto quanto il suono di ventagli e i richiami delle baiadere ai marinai del porto. La rambla ha l’aria un po’ malinconica di antiche scorribande da non raccontare oggi cristallizzate in una patina plasticosa e molto poco poetica. La prima tappa della nostra gita è la Sagrada Familia, i biglietti per entrare sono esauriti e in cuor nostro ne siamo quasi contenti, la calca che affolla il luogo sacro ci ispira a cercare la città altrove. Camminiamo verso il centro antico e ci imbattiamo in un negozietto di frutta e prodotti biologici dove possiamo assaporare un melone dalla buccia verde molto gustoso e dove compriamo dolciumi e bevande a base di frutta. I nostri corpi sembrano reclamare vitamine e vegetali freschi. Sulla strada ci fermiamo anche in una botteguccia alimentari dove troviamo patatine aromatizzate al tartufo o al caviale e dove possiamo usufruire del bagno, bere una birra e un succo di frutta e ripartire. La città sembra cominciare ad avere un significato, le voci si mescolano in un’armonia musicale e arriviamo un po’ stanchi ma non troppo accaldati, nonostante la temperatura sia decisamente alta e l’umidità si tagli col coltello. Il primo monumento che incontriamo dopo la chiesa in eterna costruzione è Monumental, Claudio riesce subito a capire che è un’arena per la corrida ora trasformata in museo, con buona pace di tori e toreri. Proseguiamo verso l’Arco di Trionfo dove i pappagalli ciarlano e chiacchierano senza sosta, divertendosi a guardare e commentare gli altrui affanni e il creatore di bolle di sapone con cui i bambini dialogano in una danza eterna fatta di piccoli attimi di poesia in movimento. Claudio ha un piccolo malore che passa subito, quindi entriamo in un parco pubblico dove c’è una splendida serra Ottocentesca pressoché abbandonata. Pensiamo con gran dispiacere alle piante e alla bellezza di quel caffè-serra nella bella Venezia dove più volte abbiamo trovato refrigerio e ristoro. Le piante sembrano gridare tristezza ma la loro capacità, la loro intrinseca resilienza le fa comunque continuare a vivere e a darsi manforte. Certo è un vero peccato, che una serra di tale bellezza in un parco tanto importante sia in quelle condizioni, una vergogna che non si addice all’immagine rinnovata e giovanile, proiettata in un arcaico futuro di Barcellona, tanto ricca di strade, mezzi pubblici, grattacieli e panchine quanto povera di aree verdi e luoghi per riossigenare i polmoni degli abitanti. Proseguiamo verso la città vecchia e ci inoltriamo in vicoli e vicoletti che sembrano lasciati alla trasandatezza più per far contenti i turisti che per effettiva necessità. Le facciate di palazzi e botteghe scrostate con l’aria di essere lì per caso, nel centro nevralgico della memoria cittadina. I barcellonesi non vivono più là, si vede, si capisce e si comprende da tanti piccoli dettagli, i balconi polverosi e la puzza di urina per le strade è un modo per ricordare un passato bohemienne che la capitale della Catalogna vorrebbe dimenticare per andare avanti e affermare il proprio ruolo di città moderna, vivace e attiva. Ci perdiamo lo stesso tra i vicoletti e ci troviamo davanti al Municipio sovrastato da un’immagine di San Giorgio con due spade, per poi arrivare alla Cattedrale degli Angeli e quindi davanti alla Chiesa di Maria del Pi, splendido esempio di architettura religiosa e del carattere focoso degli spagnoli. Siamo contenti di non aver visto la Sagrada Familia, il quartiere antico ha delle chicche imperdibili. Entriamo pagando un biglietto che serve a ricostruire l’edificio letteralmente devastato da un gruppuscolo di anarcoidi inferociti che, negli anni ’30 del XX secolo, hanno dato fuoco al luogo di culto con furia iconoclasta e, col senno di poi, forse, un po’ come spesso accade coi terroristi di qualunque inclinazione, alquanto pilotati da quel Soccorso Rosso di cui faceva parte Tina Modotti e che, pare, molte responsabilità ebbe nella distruzione effettiva del movimento rivoluzionario e libertario spagnolo a favore dell’instaurazione del regime franchista per ragioni di cosiddetta realpolitik tanto assurde quanto dettate soltanto dall’odio e dall’avidità personale di qualche dittatorucolo di cui la Storia avrebbe potuto tranquillamente fare a meno. La chiesa ha una struttura a navata centrale con volte a crociera con al centro cammei di pietra finemente scolpiti e cappelle laterali con un coro altare maggiore e annesso reliquiario. Quello che si è salvato dalla distruzione, protetto da eroici volontari che hanno sfidato l’imbecillità della folla inferocita per salvaguardare il ricco tesoro artistico della chiesa, è di rara bellezza. Il rosone centrale è stato restaurato con vetrate colorate e decorate, cercando di riprodurre fedelmente la variegata complessità dell’originale. Anche le vetrate sono state ricostruite e l’organo ora lascia intravedere un piccolo rosone laterale di grande bellezza. Ammiriamo i pezzi del tesoro recuperato ed entriamo in un giardino interno da cui si vede la torre e alcune abitazioni completamente ristrutturate che ci confermano l’impressione iniziale sul centro storico, quindi che gli spagnoli che vivono nel centro amano la comodità della vita moderna e non vanno troppo per il sottile quando c’è da ristrutturare. Nella corte interna troviamo un gatto tigrato, un bel soriano grigio e nero con cui chiacchieriamo un po’, senza soffermarci a lungo. Riusciamo verso l’animata piazzetta su cui affaccia un negozio di coltelli che ci fa pensare con una risata a Mariagrazia non senza aver scambiato due chiacchiere con l’addetta alla biglietteria che ci racconta alcune cose, ridiamo con lei di cliché e di caratteri italo-franco-iberici, ci troviamo in perfetta sintonia con lo spirito del proverbio catalano che riguarda caproni e tonti. Proseguiamo il nostro giro, nei vicoli troviamo persone carine e taluni che cercano di approfittare, quindi troviamo un bus dopo aver scambiato qualche frase con un turista che vive a Barcellona per imparare lo spagnolo, anche se noi sospettiamo che sia lì perché innamorato di una non troppo precisata ‘amica’. Torniamo in albergo, riprendiamo la macchina, ci rinfreschiamo in un bagno accanto alla reception e ripartiamo, sbagliando strada, cosa che ci permette di scoprire il quartiere in cui abbiamo dormito, un po’ borgata con casette basse e un po’ zona residenziale resistente all’avvento di grattacieli e palazzoni d’ogni sorta. Prendiamo l’autostrada e ci troviamo immersi in una distesa di vigneti di grandi dimensioni, le case coloniche spagnole si stagliano nelle campagne, protette da mura, portici e piante dalla calura e da eventuali malintenzionati. I Pirenei ci salutano con le loro cime frastagliate e aguzze e noi lasciamo Barcellona con la sensazione di essere stati in America più che in Europa. Ci avviamo velocemente verso Valencia ma la nostra esperienza valenciana è più uno stress-test che una visita. Lasciamo la città senza avervi soggiornato e la notte con la luna quasi piena ci ricompenserà della serata problematica.