Urbino
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Dopo
una notte pressoché insonne a girarci nel letto senza trovare la
necessaria pace per dormire un sonno ristoratore, ci alziamo prima
delle 5, stendiamo i panni, prepariamo la borsa, prendiamo un caffè
e ci mettiamo in macchina, destinazione: lo studiolo del Duca di
Urbino completo di tutti i dipinti degli uomini illustri, per la
prima volta dopo che parte di essi è stata trasferita al Louvre. La
città universitaria marchigiana ci stupisce con la sua semplice
grandiosità, sembra di essere all'estero, sia per la pulizia e
manutenzione delle strade, sia per l'architettura a mattoncini
chiari. Facciamo colazione in un bar dove, durante la notte, avevano
girato un episodio di una fiction tedesca, entriamo per un rapido
giro nella cattedrale. Appena mettiamo piede nel Palazzo Ducale ci
accorgiamo che la cultura in quel luogo non è stata soltanto
un'affermazione del potere temporale di qualche nobile ma un
interesse effettivo, reale. Gli ideali dell'umanesimo si concretano
in una forma tangibile, piccoli particolari fanno immediatamente
intuire che vi è stato un momento in cui il buongoverno, nei limiti
del possibile, era un valore morale, intellettuale e formale. Le
costruzioni non troppo alte, ben solide, con porticati e ampie piazze
a misura d'uomo, i colori tenui, la sobria sfarzosità che si
manifesta in delicati e preziosissimi intarsi lignei più che in
monumentali costrutti pieni di statue, ori, marmi e stucchi fanno
intuire una certa delicatezza d'animo e di spirito. L'atmosfera nel
Museo è rilassata così come in tutta la cittadina, addormentata
dopo una probabile notte di bagordi studenteschi prima di un lungo
ponte. Il percorso espositivo è molto interessante, sia perché la
figura del Duca di Urbino è oggettivamente molto particolare nella
storia del tempo sia perché le opere esposte sono di pregio e con
quadri di artisti non facilmente ammirabili fuori dal territorio
marchigiano. L'ampia selezione di dipinti del padre di Raffaello
Sanzio ci introduce alla effettiva vitalità della corte urbinate. In
un'annunciazione ravvisiamo infatti dei tratti molto simili a quella
osservata agli Uffizi e dipinta da Leonardo. Chiediamo all'addetta
alla sala che ci spiega che effettivamente il genio di Vinci aveva
lungamente soggiornato presso il ducato e che quindi possibili
influssi avrebbero potuto essere ravvisabili. Immaginiamo una corte
in un paese piuttosto isolato ancor oggi in cui il popolo viveva
decentemente per gli standard del periodo e in cui il sovrano si
occupava del benessere del ducato e di circondarsi di uomini illustri
per poter apprendere e capire, anche i principi del buongoverno, che
gli erano stati insegnati nella corte mantovana dei Gonzaga.
Arriviamo nello studiolo, oggettivamente emozionante, piccolo e
perfetto, e proseguiamo il percorso espositivo fino a raggiungere
lei, la 'Muta' di Raffaello Sanzio restaurata da pochissimo. La donna
e il quadro che hanno aperto al pittore marchigiano le porte del
Vaticano di Giulio II, permettendo a noi posteri di ammirare i
capolavori assoluti che si celano nelle stanze vaticane e nelle
chiese romane. Lo sguardo assorto, la perfezione dell'incarnato, la
meraviglia del vestito e dei lineamenti, la sensualità dirompente e
pudica, gli occhi di una donna destinata alla propria sorte che
accetta con un tratto di triste ribellione la sua condizione di
donna, migliore di quella della maggioranza delle donne dell'epoca ma
non paragonabile a quella della duchessa di Urbino, considerata dal
marito a tutti gli effetti una sua pari, non facile combinazione in
quei secoli e forse nemmeno oggi. Andiamo via da Urbino con una
sensazione di pacato benessere e ci avviamo verso le terme tra
tornanti e strade piene di curve. Ci fermiamo per un momento nella
casa bottega, anch'essa umanista di un umanesimo contemporaneo, di
Piero Guidi, ammiriamo le opere d'arte, le bellissime e, per il nostro
budget, inaccessibili borse, scarpe, capi di abbigliamento dello
stilista marchigiano e mentre stiamo andando via lo incontriamo
intento in una sua passeggiatina. Nel paese delle terme ci dicono che
forse le terme sono chiuse e decidiamo di dirigerci verso la costa,
verso strade più dritte e meno tortuose. Il paesaggio è decisamente
meraviglioso, colline e montagnole di un intensissimo verde scuro
fanno intravedere il mare blu e si scorge all'orizzonte il picco su
cui è arroccato uno degli Stati più piccoli del mondo, San Marino.
Il mare vuol dire Rimini, Riccione, Cattolica, optiamo per Rimini,
che ha un centro storico interessante e la cui memoria è
indissolubilmente collegata, nel nostro immaginario, ad un altro
Federico, non Duca d'Urbino, bensì Maestro indiscusso dell'arte
cinematografica, Federico Fellini. Entriamo in città dalla porta
principale, un arco romano di dimensioni notevoli con una targa che commemora i martiri della Resistenza contro il fascismo, passando dal villaggio Primo Maggio, cosa che ci fa sorridere e ci
palesa l'orientamento politico della patria di Mussolini. Il corso è
ampio e frequentato ma non eccessivamente a quell'ora. Giungiamo
nella piazza del municipio dove c'è il mercato, con la guida
telefonica di Mamma Lucilla, mangiamo una piadina e ci rendiamo conto
che nonostante la targa e il nome del villaggio i prezzi riminesi non
sono affatto popolari. Chiediamo ad una donna dove sia l'albergo e il
villaggio Fellini, lei ci risponde candidamente che dovremmo cercare
a Riccione, perché a Rimini a lei non risulta niente di questo
Fellini. Ci viene il dubbio che ci abbia indirizzato verso un
villaggio turistico o una discoteca e chiediamo ad un vigile, che ci
indica il lungomare. Riprendiamo la macchina e ci troviamo in pochi
minuti su un viale che costeggia una spiaggia enorme zeppa di
ombrelloni e lettini. Immaginiamo cosa possa essere in agosto,
pensiamo alla quantità di gambe, ormoni e persone che abitano quelle
spiagge e i tantissimi alberghi che si snodano sul litorale e
finalmente raggiungiamo l'albergo felliniano che ci delude, era
meglio, ma molto meglio, nel film. Riprendiamo la macchina e
proseguiamo sulla litoranea tornando verso le Marche. Approdiamo a
Senigallia, che oggettivamente ci piace moltissimo. L'atmosfera è
molto umanistica, a misura di persona, la gente allegra e cortese, si
respira una certa serenità e le case sono molto carine, basse, in
colori chiari. Esploriamo la rocca e ci troviamo in un bellissimo
festival dello street food, del cibo 'a portar via' e ci deliziamo
con una squisita porchetta di tonno, delle olive ascolane degne di
questo nome e con un piatto di bruschette al tartufo. Andiamo via con
la voglia di tornare in questo luogo del ben vivere e tornando verso
casa arriviamo a Recanati, la patria di Leopardi nei luoghi
dell'Infinito e del Sabato del villaggio. Il posto ci affascina e
decidiamo di tornare nelle Marche per scoprirne i tesori in un altro
momento. Nella via verso Mentana incontriamo il Gran Sasso illuminato
dalla luna. L'emozione è talmente forte da farci dimenticare i
pessimi umori che hanno caratterizzato questa gita e da farci
comprendere la passione per le montagne.