sabato 10 settembre 2016

Cronachette di un Viaggio in Italia. Itinerari mentanesi. Mentana * Roma, Santa Maria della Pace * Mentana

10 settembre 2016

Mentana * Roma * Mentana

Ci svegliamo poco prima delle otto. La giornata è bella, un po’ afosa, non ci sono nuvoloni all’orizzonte come previsto dal servizio meteorologico, decidiamo di uscire. Siamo indecisi tra l’andare in una piscina termale nei dintorni, nel caso ci chiediamo quale sarebbe quella più adatta in base alla temperatura dell’acqua, al mare o in montagna. Dovremmo anche tirare su le piante di pomodoro nell’orto, cadute durante la nostra assenza, sistemare i potos, andare a fare la spesa al mercato settimanale e sbrigare altre faccende domestiche. Sarebbe opportuno anche andare a trovare Nonna, Genitori e parentado. Oppure pigrare tutta la giornata e rimandare gli impegni a domani. Siamo svegli, dormire tutta la giornata non è poi così allettante. Claudio è un po’ stanco e non ha troppa voglia di guidare a lungo, optiamo per un giretto a Roma. È sabato e, incrociando le dita, dovremmo riuscire ad arrivare in tempo per gli orari di apertura, si fa per dire, di Santa Maria della Pace. Da oltre dieci anni Valentina cerca invano di vedere la chiesetta dall’interno, recandovisi sempre negli orari di apertura indicati ma non c’è mai stato verso di trovarla aperta. Cancello chiuso, vasi davanti al cancello, uno scrigno di tesori inestimabili sequestrato dai preti, uno tra i più begli affreschi di Raffaello visibile soltanto dall’alto grazie ad una finestra nel bar nell’adiacente, e annesso ma gestito diversamente, Chiostro del Bramante.
Saliamo sulla Ford e ci dirigiamo verso Villa Borghese. Troviamo parcheggio quasi subito. Attraversiamo a piedi vicoli e piazzette in cui notiamo con un certo piacere misto ad una specie di orgoglio nazionale e locale che stanno rifiorendo le botteghe di artigianato di qualità nel centro storico della Capitale.
Appena arriviamo davanti all’ingresso della Piazzetta della Pace, dove le saracinesche del Caffè della Pace sono vergognosamente chiuse, e dove fervono lavori di ristrutturazione del manto stradale e di ripristino della pavimentazione a sanpietrini, scorgiamo il cancello della chiesa aperto. Non vogliamo ancora credere ai nostri occhi, ma anche il portale è aperto.
Appena varchiamo la soglia di marmo bianco che ci porta verso una sinfonia di policromie sorprendenti, un brivido di emozione percorre la schiena di Valentina, che cerca il contatto con le dita di Claudio.
Ecco che, alla nostra destra, compare l’affresco tante volte cercato, tantissime volte sbirciato dalla grande finestra e l’arte pervade i nostri sensi.
È un tutto, una musica che travalica il tempo e lo spazio, luce pura nella sua più mirabile espressione di pulviscoli colorati, assoluta bellezza.
Non c’è un dettaglio, un’inezia, un qualcosa che non sia espressione completa di perfezione.
Se l’essere umano è stato in grado di creare questo, pensiamo all’unisono senza parlare, tutta la bellezza che non è stata compresa, vista, immaginata è possibile e c’è forse un motivo per cui gli esseri umani popolano, distruggendolo continuamente, e costantemente proteggendolo, questo meraviglioso Pianeta.
Tutte le emozioni coesistono nell’attimo di estasi suprema che si prova semplicemente ammirando il capolavoro raffaellesco, tutti gli attimi vissuti in tutti gli angoli della Terra, nei mondi dell’immaginazione e della fantasia, dell’arte, della musica, della scienza e della letteratura, sono raffigurati dalle sibille e dagli angeli.
Intorno a noi Michelangelo, Rosso Fiorentino, Sangallo chiedono a gran voce attenzione. Ci giriamo col naso all’insù che non ci fa venire le vertigini perché sembra che a Santa Maria della Pace tutta l’arte italiana si sia data appuntamento per sconvolgere e riempire di senso, di bellezza, di assoluto e di verità chi guarda, incredulo, attonito, ciò che è, nel suo essere più essenziale.
Impossibile descrivere tanta bellezza perché ha la medesima forza dell’oceano, delle montagne più maestose e imponenti, della Natura.
Santa Maria della Pace non è una chiesa qualunque, è uno scrigno, qualcosa di talmente bello da risultare indescrivibile perché è come se le parole più emozionanti di Shakespeare, le invenzioni più strabilianti di Leonardo e la musica più ispirata di Vivaldi si trovassero unite in un unicum spazio-temporale.
Usciamo dalla chiesa con un lieve giramento di testa e la voglia di tornare per vedere le variazioni di luce sui colori. L’affresco di Raffaello ci coccola gli occhi e ci inebria, nenia visiva, emozione allo stato puro. Vaghiamo alla ricerca di qualcosa da mangiare ma neanche il ritmo brioso di Piazza Navona riesce a distoglierci dalla voglia di tornare a vedere quel capolavoro.
Entriamo a San Luigi de’ Francesi, il Trittico di San Matteo è reso invisibile dalla calca di turisti che si affollano per vedere i Caravaggio mentre i fedeli si raccolgono in preghiera. Non cerchiamo la forza di Michelangelo Merisi da Caravaggio e anche la violenza espressiva di Michelangelo Buonarroti ci colpisce relativamente. Siamo come stregati dalle Sibille raffaellesche e torniamo verso Santa Maria della Pace, rientriamo per farci travolgere dalla bellezza nella sua forma più eccelsa. Usciamo, mangiamo qualcosa e poi rientriamo. Non c’è alternativa, ci sentiamo richiamati da quell’assoluto, come ci è accaduto col Gran Sasso, col Monte Bianco, con l’oceano.

Torniamo di corsa a Mentana, l’acquazzone incombe. 

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