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16 agosto 2016
Mentana * Civitavecchia
* Mar Mediterraneo * Barcellona * Saint Just Desvern * Barcellona *
Saint Just Desvern
Ci
svegliamo non troppo tardi, l'aria è frizzante e iniziamo a
sistemare casa senza troppi intoppi. La strada è deserta, o quasi,
anche se nella notte c'è stato un urlatore che se l'è presa con i
Carabinieri o con il semaforo, non s'è ben capito, evento che sarà
elemento di conversazione tra Claudio e il vicino di casa, il mitico
Eolo, negli auguri ferragostani. Finiamo di preparare le valigie, è
quasi tutto pronto ma continuiamo ad aggiungere oggetti
indispensabili, assolutamente indispensabili per una partenza tanto
serena. Siamo agitati, un po' emozionati e tutto quello che facciamo
sembra l'attesa della prima volta di qualcosa di bello, qualcosa che
vorremmo fortemente essere piacevole, meraviglioso. È il nostro
viaggio, l'abbiamo pianificato per quasi un anno, abbiamo guardato le
mappe centimetro per centimetro fino allo sfinimento, fino quasi a
decidere di non andare più via. La notte è trascorsa in una specie
di dormiveglia, con il desiderio di avventura che ci faceva brillare
negli occhi piccoli lampi di felicità. Facciamo finta di essere
seri, quasi non ci guardiamo per non abbracciarci e cominciare a
canticchiare. È tanto che non proviamo un sentimento di felicità
allegra e spensierata, per noi viaggiare è un'esigenza vitale, una
forma di libertà e un modo per ritrovare forza, energia, voglia di
fare. Mamma Enza e Papà Giancarlo sono partiti la mattina presto per
andare a trascorrere il Ferragosto al Lago di Bolsena con i nipotini,
li avevamo salutati la sera prima, ridendo e scherzando sulla
quantità di borse e valigie che affollano il decisamente capiente
bagagliaio della Ford Focus SW. “Ti stai portando mezza casa!”
“No, no, direttamente tutta Mentana” e giù a ridere di quelle
risate che tolgono la preoccupazione di una traversata in nave e di
un lungo viaggio in macchina. “Attenti alla strada”, si sono
lasciati sfuggire, salutandoci e assicurandoci che si prenderanno
cura di annaffiare le piante sulle scale, sul terrazzo,
nell'orticello. Le piante sono molto più numerose rispetto all'anno
scorso e fanno fatica a stare tutte sulle scale. Un po' le abbiamo
portate da Mamma Lucilla e Papà Pietro, cui affidiamo
temporaneamente anche la capelvenere e le orchidee. Prima, però, c'è
da finire di pulire, stendere i panni, ritirare quelli puliti, far
andare la lavastoviglie, lavare per terra, rifare il letto.
Rigorosamente senza guardarci troppo negli occhi, altrimenti
lasceremmo perdere tutto e ci metteremmo a controllare la mappa
ancora una volta, a ripercorrere l'itinerario, e ci confesseremmo che
non stiamo più nella pelle dalla voglia di partire e di fare questo
benedetto viaggio. Sbrighiamo le ultime faccende, andiamo a mangiare
da Mamma Lucilla e Papà Pietro, che non sono troppo felici di
doversi occupare delle orchidee e della capelvenere, temono di non
riuscire a far resistere il fiore bianco, giallo e tigrato da poco
sbocciato anche se Claudio aveva precedentemente reciso un ramo. Lei
non s'è persa d'animo, anche quando l'altra piantina aveva fiorito
contestualmente a quando avrebbe dovuto fiorire lei ed è riuscita a
produrre un altro fiore, orgoglioso e fiero. Ci abbracciamo forte
forte. Tigra ci saluta a modo suo e ci fa capire che le mancheremo,
forse. Ci facciamo la doccia e ultimiamo i preparativi per la
partenza. Non ci sarebbe molto da fare ma i nostri movimenti sono
rallentati da quell'attesa quasi infantile delle vacanze. Sulla
strada uccelli allegri sembrano volerci augurare una bella traversata
e una coppia di aerei acrobatici volteggia sulla nostra strada, a
Valentina escono le lacrimucce, è tutto talmente bello. Arriviamo a
Civitavecchia molto prima dell'orario previsto per il check-in, la
nave è più grande delle altre. Ci guardiamo e ci stringiamo le
mani, sarà splendida come ci hanno descritto al telefono, pensiamo.
Poi, pian piano che stiamo per imbarcarci l'atmosfera cambia. Il
porto di Civitavecchia è abbastanza squalliduccio, senza posti di
ristoro carini, senza luoghi per aspettare la nave al di fuori della
strada che costeggia la banchina. Saliamo separatamente e ci
ritroviamo sul ponte. Il corridoio con le cabine fa prevedibilmente
venire una sensazione di claustrofobia a Valentina, il ponte è ampio
e troviamo subito posto vicino ad una simpatica famigliola di
spagnoli, che andranno via per il baccano prodotto da un animatore un
po' buffo che canta con un microfono e un Mac. Saliamo su, nel ponte
più alto, a turno a vedere la luna e il porto che si allontana o che
dovrebbe allontanarsi e Valentina ha una sensazione bellissima, uno
spiritello teatrale si insinua nella sua mente e nel giro di pochi
minuti l'umor non propriamente brillante della sala freddissima si
trasforma in gioiosa felicità. Un boccone di pizza certamente aiuta
nell'impresa. Il viaggio tanto agognato sembra proprio voler iniziare
nel modo sbagliato. La nave è molto carina, non è forse quello che
ci aspettavamo e che ci era stato descritto, lo spettacolo non è un
granché, nonostante la buona volontà e la nostra voglia di cantare
e stare bene, i bagni inutilizzabili per gran parte del tempo perché
“c'erano 2500 persone”, ci spiegano imbarazzati i lavoranti che
cercano di tener pulito, in ordine e in armonia un salone pieno di
gente. Un senso di squallore ci pervade, cerchiamo di far finta di
niente. Claudio riesce a dormire quasi tutta la notte, Valentina un
po' meno. Andrà meglio domani, pensiamo, un po' delusi. Arriviamo a
Porto Torres, lo scalo previsto dove la nave si svuota parzialmente e
si riempie di nuovo. I bagni non vengono puliti, a Valentina sale
un'incazzatura di dimensioni montalbaniane, è fortemente tentata di
sfogarla sul capitano, che certamente non passerebbe un bel quarto
d'ora, siamo intirizziti e con la vescica gonfia, non ci godiamo
l'alba né tantomeno la visuale sulla Sardegna, sirena del
Mediterraneo, isola stupenda con cui abbiamo, diciamo così, un
rapporto complicato. La navigazione è ancora lunga, riusciamo ad
andare al bagno, dormiamo ancora un po', mancano almeno nove ore
prima di sbarcare. La traversata è lunga, ci soffermiamo a guardare
le persone che si riuniscono nel Ponte 10, le differenze di suoni e
rumori ci fanno pensare a quanto velocemente si creino i gruppi
'sociali'. All'istante si creano segnali di pericolo o di
rilassamento riconoscibili ascoltando e mettendosi in collegamento
con gli altri, si costituiscono insiemi e gruppetti, ci si guarda e
basta un nonnulla per capirsi, anche tra persone che non si sono mai
incontrate prima. La voglia di far andar bene questo viaggio è
tantissima e la delusione svanisce appena arriviamo a Barcellona. Una
nube di gabbiani avvolge la nave, due di loro hanno il piumaggio
talmente colorato da sembrare poiane, cercano cibo, che puntualmente
i passeggeri lanciano dai ponti. Tutto dalla nave sembra più
piccolo, ci accorgiamo che quelli che sembrerebbero piccole scatoline
altro non sono che container e treni veloci, i grattacieli, degni di
uno skyline americano, somigliano a giocattolini visti dal mare.
Viaggiare fa bene e certamente aiuta a ridimensionare problematiche e
bellezze. Ci abbracciamo, contenti, alfine di aver navigato su comodi
divanetti, Claudio ha dormito molto e questo ha attutito alquanto lo
stress dell'allontanamento da casa. Salutiamo con la mente le persone
che hanno reso possibile questo viaggio senza troppi intoppi e,
appena arriviamo nella macchina, siamo contenti di poter ritrovare un
ambiente familiare non eccessivamente condiviso. Abbiamo qualche
difficoltà nello sbarco ma poi Barcellona ci accoglie con i suoi
30°C e il traffico di una città di mare proiettata in un futuro
antico. Troviamo subito l'albergo grazie al TomTom e ci possiamo
rilassare. Il mare lo portiamo dentro e il lento rollio delle onde
culla dall'interno i nostri corpi. L'hotel ci accoglie in un'ampia
camera con un lettone grande e un'atmosfera tranquilla. Facciamo la
doccia, ci vestiamo e usciamo alla scoperta della città. Le strade
sono pulite, i mezzi pubblici funzionano e della Barcellona che
Valentina ricordava da bambina non è rimasto molto. Tutto è
ordinato, carino, tranquillo, fa pensare alla Svizzera o alla
Francia, posti in cui tutto funziona, in cui è normale che le cose
funzionino abbastanza bene e si cerca di migliorare. I quartieri
nuovi sono organizzati con cortili, panchine, tram, l'architettura
fantasiosa, con le case ampie e luminose ci fa immaginare scuole e
servizi all'avanguardia. Il confronto con Roma è difficile però
l'amor patrio risente della oggettiva buona organizzazione di
trasporti e spazi urbani in una città che dovrebbe essere tanto
simile a Napoli e che invece fa pensare a Zurigo. Ci consoliamo con
una pizza italiana in un ristorantino che è tutto ciò che può far
pensare all'Italia dall'estero, un luogo con libri, cultura, luci
soffuse, personaggi della Commedia dell'Arte, la Torre di Pisa e i
monumenti principali, l'amore per il cibo. Nel ristorantino Valentina
comincia a provare un fortissimo mal di terra, il mal di mare di
quando si sbarca dalle navi e decidiamo di andare a dormire. Ci
addormentiamo senza difficoltà, abbracciandoci nell'assolutezza del
nostro amore.
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